| uh, ragazze grazie mille!! *_* Sapere che vi piace è un sollievo, io sono sempre iper-critica.... e poi ho come lettrici una Serenate e una Chair convinte, non potevo chiedere di meglio! XD
Allora i prossimi tre capitoli sono prettamente Chair, ma servono a preparare il successivo evento Serenate XD Spero sempre che vi piacciano <3 [nel dodici è citata la cosa dei fiori orrendi dell'ascensore, di cui avevamo discusso insieme, all'epoca XD]
12. Le undici in punto Blair ; Chuck
Un’altra volta, le lancette dell’orologio contornato di mattoni che troneggiava sul lato alto dell’edificio segnarono le 11 in punto. Le avevano segnate sei volte nell’ultima settimana, davanti a Blair Waldorf, che le attendeva, impaziente. Sette settimane. Quelle sette settimane. Ricordava di aver trascorso sette settimane così serene e sinceramente belle solo un’altra volta nella vita. Nelle campagne francesi, con suo padre, a dodici anni. Allora aveva corso libera nei prati, giocato con Javier e preparato i biscotti al cioccolato. Alla sera ci arrivava sempre esausta, perché andava correndo dalla casa al paese per tutto il giorno. Non avrebbe mai pensato a se stessa nell’atto del correre. Anche a dodici anni era solita pensare a se stessa infilata in un paio di Manolo. Ma una volta arrivata a contemplare quel posto si era trovata a pensare che una volta, una singola volta, non poteva essere così sbagliato. E si era messa a correre come Heidi. Aveva scoperto che le era piaciuto. (sottile la metafora XDD) Davanti a casa stava un enorme prato color bottiglia, battuto dal vento. Poco lontano la scogliera, che dava sul mare spesso in burrasca. Era un panorama che non si era mai del tutto dimenticata. Alla sera amava salire all’ultimo piano della casa. Era pieno di polvere, all’inizio non ci voleva nemmeno entrare, ma il vecchio Javer, il suo vecchio “nonno” Javer, l’aveva presa di peso e trascinata là. Piagnucolando era entrata nella stanza più remota della casa, con il tetto talmente basso che perfino il suo metro e cinquanta andava a sbattere e talmente polveroso che nemmeno la domestica si era mai arrischiata a metterci piede. Blair non aveva ancora capito quale fosse la magia, ma in quella stanza c’era una piccola finestra, antica, con i bordi ricamati da sottili lamine d’oro e d’argento e ricoperta sui lati in modo molto fine dalle ragnatele scintillanti, da cui la vista era uno spettacolo, ma uno di quegli spettacoli che ti mozzano il fiato. Bastava che iniziasse a piovere, e la bimba si precipitava a quella finestra e stava ad osservare, scrivere, sognare. Blair si ritrovò a pensare che il ritorno a NY da quella vacanza fu un vero e proprio shock per quella bimba. Scacciò via veloce il pensiero quando vide Chuck uscire dal suo ufficio. La limo nera, scintillante sotto il sole, li stava già aspettando, dall’altro lato della strada. Non fece in tempo nemmeno a salutare, che Chuck già la stava baciando. La baciava come piaceva a lei, morbido, sinuoso. La mano dietro alla schiena, per sentire sulle dita la stoffa. Chuck Bass non si stancava mai di baciare Blair Waldorf. Non sapeva darsi un motivo, non si chiedeva nemmeno il motivo. Aveva combattuto, per avere quei baci e ora se li stava godendo, uno per uno. Farfalla per farfalla. Quella settimana c’era il consiglio di amministrazione alle Bass Industries. Chuck doveva presidiare gli incontri, più per imparare che per altro. Blair lo aspettava su quella panchina di granito, giù in strada. “Mi vuoi spiegare perché non mi aspetti in ufficio?” nessuna risposta, Chuck le prese la mano nella sua. “Abbiamo poltrone in pelle fatte arrivare direttamente dall’Europa, sono provviste di presa audio/stereo e regolabili secondo le esigenze della tua schiena” e le fece scorrere la mano libera sulla schiena, fermandosi appena in tempo. Blair si voltò a guardarlo “Vuoi dire che ti hanno dato una promozione là dentro, Bass? Ora sei diventato il promotore ufficiale delle poltrone delle Bass Industries?” ironica, cercava di essere cattiva, ma le veniva da ridere. Stavano per arrivare alla limo. “Sul serio, Blair. Spiegami almeno perché. Perché non aspetti nell’ufficio, Blair?” insistette Chuck, soprattutto molto curioso. “Ho già avuto una chiara idea di che cosa ne pensi della gente che ti segue troppo. Ho già fatto l’esperienza, mi è bastato, grazie”. Chuck le aprì la portiera della limo e salì accanto a lei. “Non vorrai dirmi che ce l’hai ancora con la storia della “mogliettina”, Blair, quante volte mi devo scusare, accidenti?!” lamentoso. E le baciò il collo. Blair incrociò la braccia, ma lo lasciò fare. “Fino a quando non sarò soddisfatta e soprattutto, fino a quando non mi sarò tolta una certa immagine dalla testa” pensarci le faceva ancora male. Tutti dicono che è il cuore a spezzarsi. Ma il cuore è un organo. Resta intatto. Continua a battere, nonostante tutto. Quella volta, ha continuato a battere, imperterrito. Non è il cuore a spezzarsi. È la speranza. È quella parte del tuo cervello che ancora ci credeva, che è ottimista e ha speranza. Quando era entrata in quell’ufficio e aveva visto Chuck con quelle puttanelle. Là la sua speranza e la sua voglia di esserci, erano svanite. Vennero barbaramente spezzate. Chuck capì subito che aveva sbagliato. Appena vide la nota di delusione e disgusto nei suoi occhi capì l’enorme danno che aveva causato. Sempre troppo tardi. Quando vide che la nota che aveva visto in realtà era soprattutto dolore, si era mosso. E allora aveva comprato i fiori ed era andato da lei. In quell’ascensore un altro cuore, pardon, un altro bagaglio di speranze furono calpestate, insieme a quel mazzo di fiori. C’era voluto del tempo, ma l’avevano superata. Era stato doloroso, e quel cuore, quel bagaglio, aveva sanguinato parecchio, lasciato segni e tracce. Tracce che Blair certo non si era dimenticata, anche se ormai gli dava davvero molto poco peso. “E comunque quei fiori che mi avevi portato erano davvero orrendi” disse Blair, prima di rispondere con slancio al suo bacio.
13. Sushi e tempura ; ricordi e incontri Chuck ; Blair
“Vuoi mangiare qualcosa?” Chuck parlava come se sapesse già la risposta. Blair tirò fuori la migliore delle sue facce schifate e fece di no con la testa. “Al Fujiama andrà benissimo” Chuck si rivolse all’autista dopo aver scoccato a Blair un’occhiataccia. La ragazza incrociò le braccia e sbuffò appena. “Non abbiamo niente di meglio da fare?” disse con quel suo fastidioso tono infantile. “Sai, adorerei veramente vivere di aria e sesso, ma dubito che si posso resistere più di un paio di giorni” Blair rise sottovoce. Si voltò di scatto e avvicinò la testa all’orecchio di lui. “Possiamo sempre provare” sussurrò. Dio benedica chi ha inventato i finestrini neri.
Con una brusca frenata la limo venne parcheggiata davanti a uno dei più famosi ristoranti giapponesi di New York. L’aria sferzava la strada. L’autista sentì un brivido gelargli la schiena una volta sceso. Come di consueto, bussò due volte al finestrino posteriore, poi si infilò immediatamente in macchina. Il semaforo, dall’altra parte della strada diventò giallo, rosso, poi verde e di nuovo giallo per tre volte prima che Chuck Bass facesse scattare la portiera nera scintillante. Ne uscì sistemandosi la giacca. Poi diede la mano a Blair Waldorf e la aiutò a uscire. Una folata di vento le scompigliò i lunghi capelli scuri. “Si congela!” si lamentò. Non si era portata nemmeno un coprispalle, accidenti. In quello stesso momento un'altra folata di vento li colpì in pieno. Un cappello bianco con un fiore rosa volò sopra alle loro teste. Alle spalle, un bambino lo rincorse. Mentre Blair si era distratta a guardarlo, Chuck si tolse la giacca, e la posò sulle sue spalle. Lei sorrise di sghembo, tirando su la parte sinistra delle labbra. “Grazie” disse. Avrebbe voluto fare una battuta, avrebbe voluto ringraziarlo a dovere, ma non ci riuscì. Si limitò a seguirlo, e guardarlo camminare davanti a lei. Il vento stropicciava la sua camicia bianca e gli scompigliava i capelli. Lo amava da morire. “Ti sei incantata?... Blair, senti, o mi segui con le buone, o ti infilo a forza pezzi di sushi…” Chuck, minaccioso. “Si, si, ok, vengo” lo guardò sorridendo, più a se stessa che a lui. “Non iniziare già a diventare volgare, Bass, perché poi sai perfettamente che…” le parole di Blair si persero nel vento che agitava la Settima.
Il ristorante era pieno di gente molto elegante. Chuck Bass e Blair Waldorf certo non sfiguravano lì dentro. I due ragazzi vennero condotti dal cameriere a un tavolo da due molto carino, posizionato vicino all’entrata, davanti alla finestra. Da lì si poteva dare un occhio non solo a tutto il ristorante, ma anche a quello che accadeva fuori. Era il posto preferito di Chuck. Non l’aveva mai detto a Blair, in realtà non l’aveva mai detto a nessuno, ma quando era piccolo, il maggiordomo di turno portava Chuck in quel ristorante per il suo compleanno. Chuck si sedeva in quella sedia, la stessa dove stava ora, per poter controllare la strada. Forse, un giorno, suo padre avrebbe finito prima al lavoro e sarebbe passato. Avrebbe mangiato insieme a lui, almeno il giorno del suo compleanno. A dieci anni Chuck Bass scoprì quello che era realmente successo il giorno della sua nascita e incominciò a odiare quel giorno, incominciò a odiare il suo compleanno. Ma continuò sempre a venire in quel ristorante, perché se avesse cambiato, suo padre non avrebbe saputo dove trovarlo. Scorse il menù che conosceva a memoria. Blair stava dicendo qualcosa su Serena. Bisognava rintracciare Lily, si. Lily. Chuck cercò di scacciare certi ricordi dalla sua testa e si costrinse ad alzare la testa dal menù. Restò ammutolito per un momento. Blair si era sistemata i capelli e lo guardava con gli occhi sgranati. Era bella da mozzare il fiato. “Chuck mi stai ascoltando?” “Si, si, scusa, perdonami, ti ascolto” arricciò le labbra in avanti, come faceva quando diceva la verità. Blair lo sapeva e riprese a parlare. Discussero di Serena, di Lily, di cosa fare, come due perfette macchine da guerra. D’altronde, erano il re e la regina di intrighi&ricatti. Due o tre idee un po’ malsane li fecero ridere. Il tempo trascorse veloce, sereno. L’atmosfera tra loro due sembrava essere la nemesi del cielo di New York, che si faceva ogni minuto più scuro e inquietante. Grossi nuvolosi grondi di pioggia si rincorrevano nel cielo. Il cameriere arrivò al tavolo per la seconda volta, portando il piatto principale. “Ecco a voi” disse, posando i piatti davanti ai ragazzi. Poi si voltò a parlare con un altro tavolo. Una volta che il cameriere ebbe girato le spalle, Chuck riuscì a vedere qualcosa oltre le spalle di Blair. Una voce familiare arrivò alla sue orecchie. Blair era presa dal selezionare la tempura, e non vi fece caso. Gli occhi divennero due fessure, e dovette fare uno sforzo immenso per riuscire a capire almeno qualche parola della conversazione tra i due uomini, ma alla fine Chuck riconobbe il ragazzo in fondo alla sala. Stava discutendo a voce un po’ troppo alta con il cameriere. “Scusa, Blair, devi scusarmi un secondo” disse Chuck alla ragazza quando vide chiaramente il cameriere prendere il ragazzo in fondo alla sala per un braccio e trascinarlo verso l’uscita posteriore. “Cosa? Hey…” Chuck non le diede il tempo di protestare e si diresse velocemente verso la scenetta. Scavalcò qualche tavolo con signore e signori eleganti nei loro smoking, e giovani in carriera con pochi minuti per il pranzo. Quando arrivò alla fine della grande sala, il cameriere e il ragazzo erano già oltre la porta di servizio. Non ci pensò due volte a superarla.
“…e non tornare, capito??” il cameriere, un ragazzo giapponese sui 20 anni, stava gridando contro il ragazzo, che era steso a terra, con la bocca impastata. “Non mi interessa chi sia tu, potresti essere Obama o Gandhi per quel che mi riguarda, se beccano un ubriaco che da fastidio ai clienti è me che licenziano! Vattene, per favore!” con una nota di supplica nella voce. Il ragazzo steso a terra sembrava incurante e totalmente disinteressato alla sue parole. Si grattò il naso e provò nuovamente a tirarsi in piedi, con scarsi risultati. Il cameriere si voltò a guardare Chuck. Lo riconobbe. “Oddio, mister Bass, la prego, la prego non dica niente, la supplico!” Chuck non l’avrebbe mai fatto, e tanto meno gli importava se qualche ubriaco entrava nel ristorante, così lo tranquillizzò e lo mandò via. “Ci penso io. Lo conosco”
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