Whatever you're going through I wanna be there for you

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Gloredhel
Posted on 29/8/2009, 22:19




ovvio....e comunque lei non ha nessunissima speranza muah muah muah

non vedo l'ora che posti gli altri!!
 
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Kassandra Black
Posted on 30/8/2009, 16:19




sono arrivata fino al settimo capitolo,piano piano sto recuperando, questa fanfic mi piace sempre più^__^

CITAZIONE
Sarà che una volta l’aveva chiamata “Blair” e non aveva più risposto alle sue chiamate.

che cosa avrei dato per avere una scena del genere!!

E ora sono troppo curiosa di vedere cosa succederà con il signor Van der Woodsen in giro =D
 
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marci#
Posted on 30/8/2009, 23:53




uh, ragazze grazie mille!! *_*
Sapere che vi piace è un sollievo, io sono sempre iper-critica.... e poi ho come lettrici una Serenate e una Chair convinte, non potevo chiedere di meglio! XD

Allora i prossimi tre capitoli sono prettamente Chair, ma servono a preparare il successivo evento Serenate XD
Spero sempre che vi piacciano <3
[nel dodici è citata la cosa dei fiori orrendi dell'ascensore, di cui avevamo discusso insieme, all'epoca XD]

12. Le undici in punto
Blair ; Chuck

Un’altra volta, le lancette dell’orologio contornato di mattoni che troneggiava sul lato alto dell’edificio segnarono le 11 in punto. Le avevano segnate sei volte nell’ultima settimana, davanti a Blair Waldorf, che le attendeva, impaziente.
Sette settimane. Quelle sette settimane.
Ricordava di aver trascorso sette settimane così serene e sinceramente belle solo un’altra volta nella vita. Nelle campagne francesi, con suo padre, a dodici anni. Allora aveva corso libera nei prati, giocato con Javier e preparato i biscotti al cioccolato. Alla sera ci arrivava sempre esausta, perché andava correndo dalla casa al paese per tutto il giorno. Non avrebbe mai pensato a se stessa nell’atto del correre. Anche a dodici anni era solita pensare a se stessa infilata in un paio di Manolo. Ma una volta arrivata a contemplare quel posto si era trovata a pensare che una volta, una singola volta, non poteva essere così sbagliato. E si era messa a correre come Heidi. Aveva scoperto che le era piaciuto. (sottile la metafora XDD)
Davanti a casa stava un enorme prato color bottiglia, battuto dal vento. Poco lontano la scogliera, che dava sul mare spesso in burrasca. Era un panorama che non si era mai del tutto dimenticata. Alla sera amava salire all’ultimo piano della casa. Era pieno di polvere, all’inizio non ci voleva nemmeno entrare, ma il vecchio Javer, il suo vecchio “nonno” Javer, l’aveva presa di peso e trascinata là. Piagnucolando era entrata nella stanza più remota della casa, con il tetto talmente basso che perfino il suo metro e cinquanta andava a sbattere e talmente polveroso che nemmeno la domestica si era mai arrischiata a metterci piede. Blair non aveva ancora capito quale fosse la magia, ma in quella stanza c’era una piccola finestra, antica, con i bordi ricamati da sottili lamine d’oro e d’argento e ricoperta sui lati in modo molto fine dalle ragnatele scintillanti, da cui la vista era uno spettacolo, ma uno di quegli spettacoli che ti mozzano il fiato. Bastava che iniziasse a piovere, e la bimba si precipitava a quella finestra e stava ad osservare, scrivere, sognare. Blair si ritrovò a pensare che il ritorno a NY da quella vacanza fu un vero e proprio shock per quella bimba. Scacciò via veloce il pensiero quando vide Chuck uscire dal suo ufficio. La limo nera, scintillante sotto il sole, li stava già aspettando, dall’altro lato della strada. Non fece in tempo nemmeno a salutare, che Chuck già la stava baciando. La baciava come piaceva a lei, morbido, sinuoso. La mano dietro alla schiena, per sentire sulle dita la stoffa. Chuck Bass non si stancava mai di baciare Blair Waldorf. Non sapeva darsi un motivo, non si chiedeva nemmeno il motivo. Aveva combattuto, per avere quei baci e ora se li stava godendo, uno per uno. Farfalla per farfalla.
Quella settimana c’era il consiglio di amministrazione alle Bass Industries. Chuck doveva presidiare gli incontri, più per imparare che per altro. Blair lo aspettava su quella panchina di granito, giù in strada.
“Mi vuoi spiegare perché non mi aspetti in ufficio?” nessuna risposta, Chuck le prese la mano nella sua.
“Abbiamo poltrone in pelle fatte arrivare direttamente dall’Europa, sono provviste di presa audio/stereo e regolabili secondo le esigenze della tua schiena” e le fece scorrere la mano libera sulla schiena, fermandosi appena in tempo. Blair si voltò a guardarlo “Vuoi dire che ti hanno dato una promozione là dentro, Bass? Ora sei diventato il promotore ufficiale delle poltrone delle Bass Industries?” ironica, cercava di essere cattiva, ma le veniva da ridere. Stavano per arrivare alla limo. “Sul serio, Blair. Spiegami almeno perché. Perché non aspetti nell’ufficio, Blair?” insistette Chuck, soprattutto molto curioso.
“Ho già avuto una chiara idea di che cosa ne pensi della gente che ti segue troppo. Ho già fatto l’esperienza, mi è bastato, grazie”. Chuck le aprì la portiera della limo e salì accanto a lei. “Non vorrai dirmi che ce l’hai ancora con la storia della “mogliettina”, Blair, quante volte mi devo scusare, accidenti?!” lamentoso. E le baciò il collo. Blair incrociò la braccia, ma lo lasciò fare. “Fino a quando non sarò soddisfatta e soprattutto, fino a quando non mi sarò tolta una certa immagine dalla testa” pensarci le faceva ancora male. Tutti dicono che è il cuore a spezzarsi. Ma il cuore è un organo. Resta intatto. Continua a battere, nonostante tutto. Quella volta, ha continuato a battere, imperterrito. Non è il cuore a spezzarsi. È la speranza. È quella parte del tuo cervello che ancora ci credeva, che è ottimista e ha speranza. Quando era entrata in quell’ufficio e aveva visto Chuck con quelle puttanelle. Là la sua speranza e la sua voglia di esserci, erano svanite. Vennero barbaramente spezzate. Chuck capì subito che aveva sbagliato. Appena vide la nota di delusione e disgusto nei suoi occhi capì l’enorme danno che aveva causato. Sempre troppo tardi.
Quando vide che la nota che aveva visto in realtà era soprattutto dolore, si era mosso. E allora aveva comprato i fiori ed era andato da lei. In quell’ascensore un altro cuore, pardon, un altro bagaglio di speranze furono calpestate, insieme a quel mazzo di fiori.
C’era voluto del tempo, ma l’avevano superata. Era stato doloroso, e quel cuore, quel bagaglio, aveva sanguinato parecchio, lasciato segni e tracce. Tracce che Blair certo non si era dimenticata, anche se ormai gli dava davvero molto poco peso. “E comunque quei fiori che mi avevi portato erano davvero orrendi” disse Blair, prima di rispondere con slancio al suo bacio.


13. Sushi e tempura ; ricordi e incontri Chuck ; Blair

“Vuoi mangiare qualcosa?” Chuck parlava come se sapesse già la risposta.
Blair tirò fuori la migliore delle sue facce schifate e fece di no con la testa.
“Al Fujiama andrà benissimo” Chuck si rivolse all’autista dopo aver scoccato a Blair un’occhiataccia. La ragazza incrociò le braccia e sbuffò appena.
“Non abbiamo niente di meglio da fare?” disse con quel suo fastidioso tono infantile.
“Sai, adorerei veramente vivere di aria e sesso, ma dubito che si posso resistere più di un paio di giorni” Blair rise sottovoce. Si voltò di scatto e avvicinò la testa all’orecchio di lui. “Possiamo sempre provare” sussurrò.
Dio benedica chi ha inventato i finestrini neri.

Con una brusca frenata la limo venne parcheggiata davanti a uno dei più famosi ristoranti giapponesi di New York. L’aria sferzava la strada. L’autista sentì un brivido gelargli la schiena una volta sceso. Come di consueto, bussò due volte al finestrino posteriore, poi si infilò immediatamente in macchina.
Il semaforo, dall’altra parte della strada diventò giallo, rosso, poi verde e di nuovo giallo per tre volte prima che Chuck Bass facesse scattare la portiera nera scintillante. Ne uscì sistemandosi la giacca. Poi diede la mano a Blair Waldorf e la aiutò a uscire. Una folata di vento le scompigliò i lunghi capelli scuri.
“Si congela!” si lamentò. Non si era portata nemmeno un coprispalle, accidenti.
In quello stesso momento un'altra folata di vento li colpì in pieno. Un cappello bianco con un fiore rosa volò sopra alle loro teste. Alle spalle, un bambino lo rincorse. Mentre Blair si era distratta a guardarlo, Chuck si tolse la giacca, e la posò sulle sue spalle. Lei sorrise di sghembo, tirando su la parte sinistra delle labbra. “Grazie” disse. Avrebbe voluto fare una battuta, avrebbe voluto ringraziarlo a dovere, ma non ci riuscì. Si limitò a seguirlo, e guardarlo camminare davanti a lei. Il vento stropicciava la sua camicia bianca e gli scompigliava i capelli.
Lo amava da morire.
“Ti sei incantata?... Blair, senti, o mi segui con le buone, o ti infilo a forza pezzi di sushi…” Chuck, minaccioso.
“Si, si, ok, vengo” lo guardò sorridendo, più a se stessa che a lui.
“Non iniziare già a diventare volgare, Bass, perché poi sai perfettamente che…” le parole di Blair si persero nel vento che agitava la Settima.

Il ristorante era pieno di gente molto elegante. Chuck Bass e Blair Waldorf certo non sfiguravano lì dentro. I due ragazzi vennero condotti dal cameriere a un tavolo da due molto carino, posizionato vicino all’entrata, davanti alla finestra. Da lì si poteva dare un occhio non solo a tutto il ristorante, ma anche a quello che accadeva fuori. Era il posto preferito di Chuck. Non l’aveva mai detto a Blair, in realtà non l’aveva mai detto a nessuno, ma quando era piccolo, il maggiordomo di turno portava Chuck in quel ristorante per il suo compleanno. Chuck si sedeva in quella sedia, la stessa dove stava ora, per poter controllare la strada. Forse, un giorno, suo padre avrebbe finito prima al lavoro e sarebbe passato. Avrebbe mangiato insieme a lui, almeno il giorno del suo compleanno. A dieci anni Chuck Bass scoprì quello che era realmente successo il giorno della sua nascita e incominciò a odiare quel giorno, incominciò a odiare il suo compleanno. Ma continuò sempre a venire in quel ristorante, perché se avesse cambiato, suo padre non avrebbe saputo dove trovarlo.
Scorse il menù che conosceva a memoria. Blair stava dicendo qualcosa su Serena. Bisognava rintracciare Lily, si. Lily. Chuck cercò di scacciare certi ricordi dalla sua testa e si costrinse ad alzare la testa dal menù. Restò ammutolito per un momento. Blair si era sistemata i capelli e lo guardava con gli occhi sgranati. Era bella da mozzare il fiato.
“Chuck mi stai ascoltando?”
“Si, si, scusa, perdonami, ti ascolto” arricciò le labbra in avanti, come faceva quando diceva la verità. Blair lo sapeva e riprese a parlare. Discussero di Serena, di Lily, di cosa fare, come due perfette macchine da guerra. D’altronde, erano il re e la regina di intrighi&ricatti. Due o tre idee un po’ malsane li fecero ridere.
Il tempo trascorse veloce, sereno. L’atmosfera tra loro due sembrava essere la nemesi del cielo di New York, che si faceva ogni minuto più scuro e inquietante. Grossi nuvolosi grondi di pioggia si rincorrevano nel cielo.
Il cameriere arrivò al tavolo per la seconda volta, portando il piatto principale.
“Ecco a voi” disse, posando i piatti davanti ai ragazzi. Poi si voltò a parlare con un altro tavolo. Una volta che il cameriere ebbe girato le spalle, Chuck riuscì a vedere qualcosa oltre le spalle di Blair. Una voce familiare arrivò alla sue orecchie. Blair era presa dal selezionare la tempura, e non vi fece caso. Gli occhi divennero due fessure, e dovette fare uno sforzo immenso per riuscire a capire almeno qualche parola della conversazione tra i due uomini, ma alla fine Chuck riconobbe il ragazzo in fondo alla sala. Stava discutendo a voce un po’ troppo alta con il cameriere.
“Scusa, Blair, devi scusarmi un secondo” disse Chuck alla ragazza quando vide chiaramente il cameriere prendere il ragazzo in fondo alla sala per un braccio e trascinarlo verso l’uscita posteriore.
“Cosa? Hey…” Chuck non le diede il tempo di protestare e si diresse velocemente verso la scenetta. Scavalcò qualche tavolo con signore e signori eleganti nei loro smoking, e giovani in carriera con pochi minuti per il pranzo. Quando arrivò alla fine della grande sala, il cameriere e il ragazzo erano già oltre la porta di servizio.
Non ci pensò due volte a superarla.

“…e non tornare, capito??” il cameriere, un ragazzo giapponese sui 20 anni, stava gridando contro il ragazzo, che era steso a terra, con la bocca impastata. “Non mi interessa chi sia tu, potresti essere Obama o Gandhi per quel che mi riguarda, se beccano un ubriaco che da fastidio ai clienti è me che licenziano! Vattene, per favore!” con una nota di supplica nella voce. Il ragazzo steso a terra sembrava incurante e totalmente disinteressato alla sue parole. Si grattò il naso e provò nuovamente a tirarsi in piedi, con scarsi risultati. Il cameriere si voltò a guardare Chuck. Lo riconobbe. “Oddio, mister Bass, la prego, la prego non dica niente, la supplico!” Chuck non l’avrebbe mai fatto, e tanto meno gli importava se qualche ubriaco entrava nel ristorante, così lo tranquillizzò e lo mandò via.
“Ci penso io. Lo conosco”
 
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Gloredhel
Posted on 31/8/2009, 11:00




oddio non mi dire che il ragazzo è nate!!!!!!!!!!

ahhhh devo sapere!!
 
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marci#
Posted on 31/8/2009, 23:12




Ehehehe, ebbene si !
Buhaha, mi son presa la rivincita su quello che avrei voluto fare io personalmente a quel ragazzo alla fine della s2.... XD

14. Delirio
Chuck ; Nate

Chuck Bass aveva sempre avuto un talento particolare a inquadrare le persone.
Riusciva con il suo gelido sguardo a indagare dentro di loro, svuotarli completamente. Riconosceva i truffatori, i falsi, ma soprattutto era bravo a scegliere gli amici. Forse è per questo che gli unici amici che avesse mai avuto in quasi vent’anni di vita erano Serena, la sua attuale ex sorellastra, Blair Waldorf, sua attuale fidanzata e Nate Archibald, attuale pezzo di idiota.

« Pezzo di idiota » non potè fare a meno di pensare Chuck Bass guardando delirare il suo migliore amico sul pavimento del retro del ristorante giapponese dove aveva portato Blair. Il ragazzo cercava con tutte le sue forze di tirarsi in piedi, ma con scarsi risultati. La camicia azzurra era macchiata di giallastro, probabilmente di birra. « Squallido oltretutto »
Lo osservò per un attimo, titubante. Lui lo guardava, mormorando qualcosa, ma non sembrava l’avesse riconosciuto. Una folata di vento, lo stesso vento che aveva scompigliato i capelli di Blair pochi minuti prima investì Nate e Chuck. Della polvere finì negli occhi di Nate, che iniziò a stropicciarsi gli occhi con entrambe le mani, con la testa lievemente alzata da terra. Dava la strana impressione di un bambino nella culla troppo cresciuto. Una ragazza avrebbe probabilmente trovato tenero quel suo morbido sguardo confuso.
Chuck gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi. Nate mise a fuoco i lineamenti del viso dell’amico. Vedeva tutto sfocato e fuori prospettiva, come qualcuno a cui fossero stati rubati gli occhiali all’improvviso. La bocca era impastata e non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. Il suo cervello era stato completamente invaso da una fitta nebbia, che avvolgeva pensieri e ricordi.
“mmm… Chuck!” riuscì a dire.
Tuttavia si sentiva allegro, quasi euforico, perché per quanto si sforzasse di pensare, non riusciva a trovare segni di nessuna memoria particolare. Ricordava giusto qualche volto, e molto, molto alcool consumato davanti a una barista bionda. Forse.
«Chuck, il mio Chuck! Il mio amico Chuck!!» stava iniziando ad alzare la voce.
Chuck non si scompose più di tanto, ricordava fin troppo bene come ci sentiva da ubriachi persi. Il suo ego gli suggerì di ricordare a Nate di cercare di ubriacarsi con un tantinello in più di stile la prossima volta, se possibile.
Lo posizionò con una certa fatica a sedere. Chuck iniziò a sentirsi nervoso. Non sarebbe passato molto tempo prima che Blair venisse a vedere che fine aveva fatto. O peggio, l’avrebbe mollato lì. Il fatto che la mano di Nate continuasse ad accarezzargli la faccia di certo non aiutava la situazione.
«Amico, tu devi davvero, ma davvero, provare la birra perché è davvero, ma davvero buona, l’hai provata la birra? … ce l’hai una birra?»
Sbuffando, Chuck “la birra te l’ho fatta bere io per la prima volta a nove anni, e Nate, la prossima volta vodka almeno” lo schiaffeggiò appena, perché sembrava diventare di minuto in minuto più pallido.
“La vodka, sisi, la vodka, io amo la vodka!” delirava a voce alta, squillante. Il colorito pallido lasciava posto a chiazze rossastre ogni volta che alzava la voce.
Chuck riuscì a tirarlo in piedi, ma si reggeva appena.
“Dai, ti porto a casa”
“Ma io voglio restare qui, guarda che posso, io”
“Nate non rompere, andiamo” Chuck lo tirò per un braccio, ma con uno strattone Nate si liberò dalla presa. Diede una spinta a Chuck e si allontanò “faccio quello che mi pare, d’accordo!?”
“Nate, datti una calmata!”
Gli diede un’altra spinta, perché Chuck stava provando nuovamente ad avvicinarlo. “Senti, perché non te ne torni dalle tue puttanelle?” scoppiò a ridere.
Le narici di Chuck si dilatarono appena. Cercava di mantenere la calma, il corpo in tensione. Vedeva Nate muoversi a rilento e lo sentiva parlare sempre più forte, sempre più forte. Le onde sonore colpivano il suo padiglione auricolare come il batacchio di una campana colpisce le pareti di metallo. Cercava di mantenere la calma, che si stava affievolendo a ogni parola.
Dal canto suo, Nate sentiva l’eccitazione salire sempre di più, quasi non capiva che cosa stesse dicendo, ma finalmente si sentiva libero. Libero e senza imposizioni. Finalmente sapeva che cosa si provasse a librarsi nell’aria, la situazione di vuoto allo stomaco e di completa emancipazione.
Sentiva di potere tutto, che nulla avrebbe avuto conseguenze.
La mano di Chuck, ancora una volta, tentò di condurlo verso la macchina, che era ancora parcheggiata dall’altra parte della strada. Questa volta più duro, deciso. “Ma forse dovrei dire di tornare dalla tua Blair, dalla tua puttanella, ho notato che ora ti fai coman…” non fece in tempo a finire la frase.
Nate sentì chiaramente, più chiaramente di qualsiasi altra cosa quel giorno, le nocche di Chuck colpirgli lo zigomo sinistro. Gli girò completamente la faccia. Nate finì di nuovo in terra, esattamente nello stesso punto da cui si era faticosamente alzato, pochi minuti prima. I gemiti che emetteva lo fecero nuovamente sembrare un neonato accucciato.
Chuck scosse per un secondo la mano dolorante e si girò, deciso ad andarsene. Si ritrovò faccia a faccia con Blair.
“Che hai visto?” sussurrò lui.
“Abbastanza” rispose lei posando le mani sul suo viso. Le mani tremavano ancora. Lo baciò. Il consueto brivido freddo lungo la schiena scosse entrambi.
“Ti credevo più impulsivo, Bass, io l’avrei preso a calci qualche decina di minuti fa” disse Blair guardando Nate.
“Dammi una mano, lo portiamo a casa” le disse lui.
“Sei incredibile, lo sai?” disse afferrandogli un braccio.
“Certo che lo so”
Blair alzò le spalle e osservò Chuck caricarsi il peso morto sulle spalle. Non si sa come, aveva preso a russare. Ogni tanto si passava una mano sullo zigomo ferito.
“Io non lo tocco finchè non mi chiede scusa” girò le spalle, e precedette gli amici verso la limo.
Il vento aveva smesso di soffiare feroce, ma qualche goccia di pioggia bagnò i visi dell’insolita comitiva, che non parve badarvi.

 
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Gloredhel
Posted on 1/9/2009, 11:12




ohhh fantastico XDDD me la immagino una scena del genere!!! ora ovviamente serena lo consolerà *___*
 
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marci#
Posted on 1/9/2009, 21:28




Il primo serve per la trama XD
Poi C'è quello Serenate X°DD

15. Breaking News
Dan ; Serena ; Jenny

Era stata l’estate più fredda che Dan ricordasse da molto tempo. C’erano stati temporali furiosi, tuoni e lampi per tutta la durata di luglio. Il vento gelido aveva scosso con forza e cattiveria le vie della città, rendendo davvero difficile da credere che fosse estate. L’arrivo di agosto non aveva migliorato la situazione. Central park aveva visto volare molte più foglie verdi brillante del normale e molto più sciarpe che costumi erano stati venduti nei negozi della città. L’aria gelida aveva prodotto un vero e proprio fuggi-fuggi di massa. Chi poteva, si era rifugiato negli Hampton o aveva preso il primo aereo diretto verso il sole scintillante di qualche spiaggia lontana. Le rade giornate soleggiate e imprevedibilmente calde avevano avuto la sola conseguenza di produrre un’intensa voglia di quell’estate che non accennava ad arrivare. La prima foglia ingiallita, tra le migliaia di verdi, si staccò all’improvviso dall’alto albero battuto dal vento e finì in faccia a Dan Humprey.
Mentre questo accadde, un gruppo di ragazzine vestite in modo imbarazzantemente simile lo notarono e cominciarono a indicarlo, parlottando fitto-fitto tra loro. Dan si spostò velocemente la foglia dalla faccia e sentì il sangue scorrere più velocemente nelle vene delle guance.
Le ragazzine ridacchiarono. “Deriso dalle dodicenni, questo è il fondo” pensò Dan. Non che fosse una persona famosa, ma Dan Humprey era conosciuto da una piccola schiera di persone come “Lonely Boy” grazie a Gossip Girl. Non poteva biasimare chi consultava quel sito. Lui stesso aveva passato un certo numero di afose nottate seduto su quella scomoda sedia bianca, davanti al suo portatile, unica luce ad illuminare la stanza, a leggere le ultime news su Serena Van Der Woodsen. L’aveva voluta. L’aveva voluta per sé talmente tanto. E l’aveva avuta. All’improvviso come l’impressione di potere tutto, di poter fare tutto quello che voleva. E lei era scappata via. era stato lui a scacciarla. Ma quando non aveva più potuto guardarla ridere, leggere i suoi messaggi, sfiorare le sue mani affusolate, solo allora aveva sentito di volerla indietro. È una sindrome comune, ma molto stupida. Ogni volta, tuttavia, era la stessa storia, ogni volta cadeva nella solita, stupida, barcollante euforia, che lo portava a perderla. Stavolta era una cosa definitiva, l’aveva ferita ormai troppo e lei sarebbe andata avanti. Dentro di sé non poteva non sperare che lei fosse così stupida da dargli l’ennesima possibilità. Ma la parte ragionevole del suo cervello l’aveva portato a dirle di non essere nemmeno amici, così da farla fuggire più velocemente, più ferita. Ogni volta che la vedeva su questa parte del cervello scendeva la nebbia. E allora si comportava con lei in modo dolce e sperava nella scintilla dei suoi occhi. Dan Humprey aveva una sola certezza. Voleva che Serena tornasse a ridere come una bambina di quattro anni. Voleva sentire quella risata sempre, non gli importava altro. Meditava di dare un nome a quella piccola parte di cervello, ma forse era una cosa troppo stupida.
Si lasciò le dodicenni alle spalle, percorrendo la strada con le mani in tasca. Sentiva ancora i loro gridolini e quelle risate così sguaiate, così diverse. Notò un volantino che ondeggiava al vento. Un pezzo di scotch si stava quasi staccando. La foto di una donna bionda gli sorrise di rimando:
M I S S I N G
LILY VAN DER WOODSEN – BASS
A piè di pagina si prometteva una ricompensa a chi avesse dato qualche notizia. Dan staccò con forza il volantino e prese a correre con tutte le sue forze, urtando i pochi passanti rimasti a passeggiare per la strada semi deserta.

Nello stesso momento Serena e Jenny stavano guardando la televisione. Erano quasi le nove e su ABC sarebbero iniziate da lì a poco le nuove puntate di Grey’s Anatomy, che entrambe le ragazze adoravano. “Per te chi muore?” chiese Jenny buttandosi nel lato preferito del divano. Jenny e Dan continuavano ufficialmente a vivere al loft, ma passavano la maggior parte del tempo a casa Van Der Woodsen.
Quando l’allarmismo per la scomparsa dei genitori aveva quasi convinto tutti a rivolgersi alla polizia, erano arrivate due lettere. Una era indirizzata a Dan e Jenny, l’altra a Serena e Eric. La prima era di Rufus, mentre la seconda di Lily. Non erano stati di molte parole, ma avevano assicurato di stare bene, di volergli bene e di aver fatto pace. La lettera citava cose molto personali e questo convinse i ragazzi a credere alla seppur piuttosto debole spiegazione della vacanza riparatrice. Anche perché se l’investigatore di Chuck non aveva scoperto niente, la polizia aveva poche speranze.
Dal giorno dell’arrivo delle lettere i ragazzi non avevano avuto nessun altra notizia, né da una parte né dall’altra. Nessuno si era preoccupato, perché in entrambe le lettere si diceva che i due avrebbero passato fuori città tutta l’estate. Ora settembre era appena cominciato e l’unica che ancora un po’ si lamentava e continuava a sostenere che quella faccenda era troppo strana era Serena.
“Secondo me George. È stato completamente inutile tutto l’anno passato e non ci credo che avrebbero il coraggio di eliminare Katherine dallo show” Serena le si sedette accanto, tra le mani il barattolo dei pop corn. La pubblicità di una nuova marca di shampoo urlava dalla tv. Appena ebbe inghiottito tutto, Jenny esclamò: “Ma Blair?”
“Viene, ha detto che al massimo avrebbe avuto qualche minuto di ritardo per via di sua madre, ma suonava strana, mi ha detto che mi avrebbe spiegato meglio a voce”. Detto questo la ragazza si rialzò, perché aveva dimenticato la roba da bere. “Almeno noi non abbiamo più questo problema” disse Jenny sarcastica. Serena fece una risatina e sparì nella cucina. Aprì il frigo e usò un mano per la bottiglia di Diet Coke e l’altra per due bicchieri di plastica dura blu. L’aspetto accogliente che la cucina aveva assunto grazie a Rufus era sparita. Nessun odore di torta al limone. La presina colorata che l’uomo aveva appeso al muro era sul pavimento e Serena sospettò che qualcuno l’avesse calpestata.
“Serena!!” il grido di Jenny prese la ragazza di sorpresa. La bottiglia rimase salda, ma i due bicchieri ruzzolarono sul pavimento con un tonfo sordo. “Dannazione” imprecò Serena. “Jenny, che c’è che non va?” ma le parole le si spensero sulle labbra quando entrò nel salotto. Al posto di Patrick Dempsey c’era una giornalista con i capelli raccolti e un vestito aderente verde marcio, parlava con voce squillante. Una scritta rossa e nera troneggiava sullo schermo sotto a “BREAKING NEWS edizione straordinaria” . La scritta era semplice e concisa, non era possibile aver capito male.
MISSING : LILY VAN DER WOODSEN – BASS. Dopo pochi secondi, ancora prima che Serena e Jenny potessero dire qualcosa, una foto di Lily riempì lo schermo. La donna stava semplicemente dicendo che la famosa milionaria vedova di uno degli uomini più potenti di New York, era sparita nel nulla ormai da qualche settimana.
“… la polizia ha fatto sapere che verranno riaperte le indagini anche per la morte di Bart Bass, l’ultimo marito della donna. Fonti certe assicurano che le circostanze della sua morte non siano mai state chiarite del tutto. Sembra inoltre che insieme alla donnasia sparito anche l’amante, un ex-rock star. Entrambi gli individui hanno lasciato due figli, ma nessuno è ancora riuscito a strappare una dichiarazione ai quattro ragazzi. È partita da qualche ora la campagna per il ritrovamento della donna, promossa dal consiglio di amministrazione delle Bass industries, di cui fa inoltre parte il giovane figlio di Bart Bass. Vi terremo informati su ulteriori aggiornamenti. Per ora nessuno è a conoscenza di ulteriori dettagli”.


16. Ho dimenticato di ricordarmi di dimenticare
The family ; Nate/Serena

Jenny e Serena avevano perso ogni voglia di parlare. Ammutolite, ripresero posto sul divano. Jenny aveva la tipica faccia di chi sta riflettendo per poi parlare per ore. Serena invece era solo stanca. Voleva capire, e di certo non voleva essere assediata da quei giornalisti disperati, a caccia di news. Prese in mano un grosso cuscino blu e lo abbracciò. Era più grosso di lei e vi affondò dentro. Il campanello suonò con forza, qualcuno bussò con foga. “Sono già i giornalisti?” una nota di panico nella voce di Jenny. Entrambe le ragazze si precipitarono alla porta. Con somma sorpresa dall’altro alto riconobbero la voce di Nate Archibald. “Serena? Serena! Perché non mi apri? Mi vuoi bene vero?!”. Se le espressioni del viso potessero corrispondere a simboli, la faccia di Serena sarebbe stata un punto interrogativo. Sebbene meno espressiva, nemmeno Jenny era da meno.
“Nate, per carità del Signore, stai molestando le mie orecchie da ormai troppi minuti, ti vuole bene, basta che tu stia zitto!” questa era Blair, ovviamente, riconobbero le ragazze. “Se solo trovassi le chiavi…” il mormorio di Chuck e un suo movimento brusco, forse un calcio sugli stinchi di Nate. “Ha fatto il bagno nel liquore? Nate, amico, puzzi terribilmente, dico sul serio!” questo era invece Dan. “Da che pulpito…” aggiunse non troppo sottovoce Chuck, ancora alle prese con le chiavi.
Era quasi divertente seguire quel simpatico siparietto da dietro la porta, ma Jenny a quel punto decise che era giunto il momento di aprire. Nate, visibilmente ubriaco, era completamente appoggiato a Chuck. Blair cercava inutilmente di tenergli le mani ferme, essendo che il ragazzo stava ancora cercando con tutta la sua volontà di suonare il campanello. Serena notò una piccola ferita fresca sullo zigomo sinistro di lui.
Li fece entrare, mentre discutevano animatamente tra loro. Solo Dan pareva silenzioso, teneva un foglio bagnaticcio e stropicciato stretto forte nella mano.
Serena stava quasi dimenticando il comunicato tv. Guardava Nate. “Che diavolo hai combinato, Nate?” lui la guardava di rimando, con un sorriso ebete. “Sei bellissima” e scoppiò a ridere. Serena avvampò un poco, ma per fortuna nessuno vi badò. Non era normale che Nate fosse così fuori. Reggeva bene l’alcol.
“Ci è scappato” disse Blair, ironica e scocciata insieme. “L’abbiamo beccato ubriaco in un ristorante e lo stavamo portando a casa, ma è scappato via. giuro, è stato terribile, sembravamo i protagonisti di un film di serie B! ci siamo messi a rincorrerlo, ma questo idiota si è nascosto da qualche parte”. Nate continuava a vaneggiare. Stava dicendo qualcosa che legava una muta da sub a dei cocomeri. “A quanto sembra dall’odore è pure tornato a bere, ma scusatemi, io avrei qualcosa di un tanti nello interessante, per non dire importante” Dan aveva preso la parola. Nate rise forte quando notò l’espressione di pira incredulità sarcastica sul volto di Chuck. Anche Blair non potè fare a meno di sorridere. Sorrisi che furono spenti subito quando Dan srotolò il foglio che teneva in mano, e Serena e Jenny aggiunsero al racconto le informazioni ricevute dal notiziario. in particolare si rivolsero a Chuck, dato che la brutta donna vestita di verde aveva detto che la campagna era partita dalle Bass Industries. Chuck però, giurò di non saperne assolutamente nulla.
Erano tutti seduti attorno alla tavola da pranzo, come era già successo molto spesso quell’estate. Ognuno era seduto al suo posto.
Parlarono a lungo tra loro di cosa fare. Chuck e Blair proposero alcuni dei loro piani, anche quelli assurdi che fecero ridere perfino Jenny, che era caduta in un mutismo pressoché assoluto. L’unico escluso dalla conversazione era Nate, che si agitava irrequieto sul divano. Quando ormai era già tardi, Serena si decise a portarlo a letto.
“Mi sembra abbastanza stanco, tra poco si sveglierà per rimettere l’anima ed è meglio che non lo faccia nel salotto”. Blair si stava per offrire di aiutarla, ma Serena rifiutò subito. Svegliò Nate con due bottarelle e lo trascinò a forza in una delle tante stanze degli ospiti. Nate era ancor confuso, ma di certo un pochino più lucido di prima, grazie alla dormita. Quella stanza era stata chiusa a chiave da molto tempo. Serena, Eric e Chuck non la usavano mai, e spesso Lily dimenticava addirittura di farla pulire. Infatti, entrando le narici dei ragazzi si riempirono di polvere. Le finestre erano serrate. Un vago odore di chiuso, ma non molto fastidioso, saturava l’aria. Un letto a baldacchino era posizionato proprio sotto alla finestra di sinistra. Solo un piccolo raggio di luce, la luce della notte di New York proveniva dalla fessura della tapparella abbassata. Serena trascinò Nate fino al letto, su cui lui si gettò. Serena lo coprì con la coperta rossa che era stata piegata ai piedi del letto. Stava per andarsene e lasciarlo dormire. Nate balbettava ancora qualcosa. Mentre si allontanava, la ragazza tentò di carpire qualche parola.
“Non puoi andare… ti prego… prego…. Te lo chiedo io…”
Serena rimase paralizzata. In un attimo ebbe davanti agli occhi chiari, come un film, il giorno in cui aveva deciso di lasciare New York. Nessuno l’aveva saputo. Nemmeno sua madre, avvisata per telefono, nemmeno suo fratello, avvisato per lettera. Nemmeno Blair, non avvisata affatto. Ma Nate l’aveva seguita. L’aveva vista strana, aveva captato la grave disperazione dei suoi occhi e del tono della sua voce la sera precedente. E alla mattina aveva cercato in ogni modo di convincerla a restare. Perché la amava, aveva detto. L’aveva supplicata come mai nessuno aveva fatto. Con gli occhi Serena aveva cercato di farglielo capire, aveva cercato di dirgli tutto quello che non avrebbe mai potuto dirgli. Era dovuta partire. Non solo perché Nate all’epoca era il fidanzato di Blair; il motivo per cui non aveva seguito quello che il suo cuore le suggeriva di fare era, apparentemente e all’epoca, molto più grave. Non sapeva proprio spiegarsi perché in ora Nate stesse tirando fuori quelle parole, perché quelle e non altre. Quelle che lei non era mai riuscita a scacciare dallo scrigno. Tuttavia tornò sui suoi passi. Tornò indietro e su abbassò appena su di lui. “Come?” non sapeva che altro dire e si sentì piuttosto stupida.
Lui la guardò. Improvvisamente più lucido che mai, la guardò per una frazione di secondo. I loro occhi si ricongiunsero. Come una volta. Un dolce ricordo in quella piccola, eterna, frazione di secondo. Fu un attimo. Veloce, violento perfino. Nate si attaccò al braccio di Serena e la tirò con forza verso di lui. Le loro labbra si toccarono. Era una strana sensazione, come se in un attimo tutto il dolore, la solitudine, la cupa angoscia delle loro anime stanche avesse preso un senso. Non era solo per il puro atto del bacio. Non era solo la fisica sensazione di vuoto allo stomaco e delle labbra strofinate. Era la consapevolezza di non essere completamente soli. Quel bacio evocava il ricordo di quello che erano insieme. Amici. Forse innamorati, ma soprattutto delle persone che valevano qualcosa l’una per l’altra.
Nessuno dei due saprebbe dire con precisione quanto rimasero in quella, seppur scomoda, posizione. A pensarci successivamente, Serena ricordava solo che in seguito lui aveva chiuso gli occhi, forse solo fingendosi addormentato. Lei allora aveva lasciato la stanza, richiudendosela alle spalle con molta cautela, per non svegliarlo.
Ridiscesa, trovò la situazione più o mena come l’aveva lasciata. “Dov’eri finita?” disse Blair. “Ho incontrato resistenza” mormorò appena Serena, in risposta all’amica. Anche Eric si era unito al quadretto e stava commentando la situazione insieme agli altri. Chuck seguiva alla tv l’ennesimo notiziario sulla situazione. La notizia del padre doveva averlo shockato molto più che la sparizione di Lily. Blair sembrava piuttosto preoccupata, anche se mascherava il tutto con battute e sorrisi.
Jenny guardò fuori dalla finestra. Pioveva forte e la ragazza appoggiò una mano sul vetro nero, ricoperto di goccioline di vapore. Al tocco caldo di Jenny, le goccioline presero a scorrere verso il basso, come tante lacrime sgorganti.
 
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Gloredhel
Posted on 1/9/2009, 21:40




ahhhhhhhhhhhh fantastico *_____* perchè non suggeriamo ajosh di faro bere più spesso???? XDDD

complimenti è sempre più appassionante! Ah, i miei serenate *___*
 
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marci#
Posted on 3/9/2009, 00:28




Ma graazie mille<3
Troppo buona, ho sempre voluto vedere Nate ubriaco [in vino veritas XD] e Chuck che lo prende a pugni BUhahahah XD

New:
17. Qualcosa di indispensabile
Serena ; Blair

La notizia aveva fatto il giro della città. Non si poteva andare da nessuna parte senza notare il sorprendentemente ridente viso di Lily che ammiccava dai volantini. Nemmeno uno era stato sprecato per Rufus. Cosa che Dan e Jenny non avevano presto troppo bene. Nemmeno Blair osava prenderli in giro per questo. I ragazzi erano stati contattati dalla polizia pochi giorni dopo quel primo settembre in cui in tv era passato il primo notiziario speciale. A quello era seguito un altro notiziario speciale, e un altro ancora. Mentre i giorni scorrevano veloci, sempre più telefonate e sempre più telecamere si avvicinavano all’appartamento dei ragazzi. Con sommo orrore di Blair balenò addirittura l’idea di trasferirsi al loft.
Ancora nessuna notizia era giunta. Nessun segno di Lily o di Rufus. I cellulari dei due erano sempre e comunque spenti o non raggiungibili. I ragazzi si dividevano tra disperazione e rassegnazione.
Sedute sulle gradinate che tante volte aveva accolto confidenze, riconciliazioni, battibecchi e vere e proprie vendette, Serena Van Der Woodsen e Blair Waldorf sorseggiavano un caffè caldo appena comprato al baracchino all’angolo della strada. Blair era impeccabile nel suo completo blu mare, mentre Serena nascondeva il volto sotto ad un’enorme cappello nero e un paio di enormi occhiali da sole. La camicia bianca semplice e il paio di jeans piuttosto vecchi le davano effettivamente un’aria pressoché anonima. Quello che voleva.
“Dovrebbe essere qui tra poco” disse Blair torturando con i denti il bordo del bicchiere di carta. “Avevamo davvero bisogno della limo?” sussurrò Serena. “S, per piacere, è il primo giorno di college, la limo è indispensabile!” disse lei a voce decisamente più alta.
Era finalmente arrivato il giorno del college.
La New York University distava un certo tratto da casa di Blair. Eleanor e Cyrus avevano promesso di accompagnarla, ma avevano improvvisamente chiamato la sera prima, disturbando una guerra con i cuscini per avvisare che “impegni improrogabili” avrebbero costretto i due a fermarsi a Parigi ancora qualche settimana. Aveva dunque chiesto a Chuck la limo in prestito e aveva dato appuntamento a Serena sui gradini del Met, il loro luogo prediletto. Vista la situazione, Serena non se l’era sentita di abbandonare New York, anche se avrebbe potuto avere tutte le università che voleva. Yale… Brown… aspettavano lei e solo lei. Qualche settimana prima si era chiusa nella sua stanza, si era guardata allo specchio e aveva deciso che era stufa, che avrebbe parlato con Blair, si sarebbe scusata e sarebbe andata a Yale, lontano. Aveva deciso di scappare. Si era guardata un’altra volta allo specchio e aveva compreso di essere una codarda. Mai una volta nella sua vita aveva affrontato le complicazioni che gli si erano poste davanti. Serena era sempre scappata via. Fuggita da tutto, da se stessa. Gossip Girl aveva fatto uno scambio di persona. Non era Chuck il codardo, ma lei. Eppure non fu quello a farla restare. Quella consapevolezza non seppe scuoterla. Fu un singhiozzo.
Mentre la sensazione di cupa paura l’aveva già spinta a riempire la valigia sentì un singhiozzo. Uscì dalla porta e appoggiò l’orecchio alla porta del bagno. Eric piangeva, probabilmente seduto a terra con le spalle alla porta. Serena gli fece sapere che era lì con lui. Si sedette anch’essa con le spalle alla porta chiusa, nel corridoio. Restarono così per ore, senza nemmeno parlare. Alla mattina Eric la ringraziò con un abbraccio e Serena corse velocemente a rimettere la valanga di vestiti stipati nella borsa, in ordine nell’armadio.
“Nate? Brooklyn?” fece Blair. “Nate ci aspetta all’entrata a quanto ho capito, e Dan e Vanessa… sono già là anche loro” disse leggendo un messaggio sul suo cellulare. In cuor suo trovava divertente il modo di Blair di prendere in giro Dan, ma non le avrebbe mai dato la soddisfazione di comunicarglielo. “Ho chiesto di Nate e di Brooklyn non di quel mostro a cui hanno dato un cespuglio al posto dei capelli” fece Blair a voce più alta del normale. Ultimamente Serena trovava le battute su Vanessa più divertenti del normale. La sua risata venne soffocata dal rombo della limo, che parcheggiò proprio davanti alla scalinata che portava all’entrata del college. “Ah, a proposito, ti farà piacere sapere in anteprima che Chuck mi ha detto che Nate l’ha mollata!” colorata da un sorriso soddisfatto, stava già inviando il post a Gossip Girl. Certe abitudini erano dure a morire. Anche Serena sorrise compiaciuta a quelle parole. Nell’ultima settimana aveva sentito Nate solo per telefono. I suoi messaggi erano sempre allegri e dolci, ma ad ora aveva sempre fatto di tutto per rifiutare categoricamente ogni suo invito a vedersi.
Magari confrontarsi.
Le due ragazze salirono sulla limo. “Alla New York University” disse Blair, sperando che l’autista di Chuck sapesse di cosa stesse parlando. Con piacere la ragazza notò che la limo si infilava nella via giusta con sorprendente spigliatezza. Si infilava con facilità in ogni buco libero dal traffico, procedendo con relativa rapidità. Blair si rilassò sul sedile e Serena si liberò dell’ingombrante cappello e degli occhiali. “Come sta Chuck? L’ho visto un po’ scosso”. Serena si riferiva al fatto che Chuck era stato estromesso dal consiglio di amministrazione. Gli era stato comunicato che fino a quando le indagini su suo padre e su Lily non fossero giunte a una conclusione sarebbe stato scorretto farlo partecipare alla direzione dell’azienda , perché troppo coinvolto emotivamente. Nessuna spiegazione gli era stata fornita, provocando in lui una certa frustrazione, che si manifestava in casa con malumore costante contornato nei casi più gravi da mutismo. Non si era scordato della limo però, sebbene Blair non gliel’avesse ricordato troppo recentemente. “Ha chiesto un appuntamento con il tizio che era il braccio destro di Lily nella direzione dell’azienda. A proposito, mi sa che dovrebbe iniziare tra poco” Blair guardò fuori dal finestrino con apprensione. Pensò a quello che Chuck doveva subire tutti i giorni. “Ha detto che se finisce presto ci passa a prendere comunque!” disse lievemente più allegra. “Tanto qui ci stiamo tutti, volendo” dando piccoli colpetti al sedile ebbe la premura di aggiungere che il cespuglio non era invitato. Serena indicò un punto fuori dal finestrino dal quale si poteva già scorgere un folto gruppo di ragazzi che camminavano verso una grandiosa porta di legno scurissimo, coperta nella parte alta dall’insegna del college. Davanti alla porta era stata costruita una scalinata di marmo quasi completamente ricoperta di ragazzi e ragazze. Si respirava aria fresca e spigliata. Libera. I sogni e le speranze sembravano vagare come nuvole sulla testa di ognuno. Pronte a piovere. Il vociare rumoroso parve alle ragazze nelle orecchie una melodia allegra e piacevole. Piuttosto elettrizzate, le due amiche scesero in fretta dalla limo, già pronte a buttarsi in quel mondo pieno di “virtute e canoscenza”… e tutto quello che vi stava dietro ovviamente.
 
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Gloredhel
Posted on 3/9/2009, 10:37




vedo che il tuo ammmore per vanessa/jessica emerge anche qui XDDDD
 
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marci#
Posted on 3/9/2009, 22:17




Eh beh, ovviamente cara! X°DDD
Volevo, ad essere sincera, cercare di darle quello spessore psicologico che credo non abbia, ma proprio non ce la faccio, mi riesce molto meglio parlare di Serena, anche se non pensavo *-*

Qui succede un piccolo casino con Blair XD

18. Once upon a time

Quasi furono assalite da quel flusso di gente che pareva non fermarsi mai. Dall’alto del suo metro e ottanta, Serena individuò Dan e Vanessa. Si sbracciò, per quel che poteva, e attirò l’attenzione di Dan, che si guardava intorno come un cucciolo smarrito.
I quattro ragazzi si avviarono poi insieme verso l’entrata, dove ormai si riversava la maggior parte della gente. Avevano aspettato Nate abbastanza a lungo, ma lui non si era fatto vedere. Giunti in segreteria, ai ragazzi furono consegnati gli orari, spiegato dove si trovavano il dormitorio, i laboratori, la biblioteca, varie facoltà e confraternite. Serena aveva chiesto una stanza, ma date le circostanza, aveva deciso di freddarla e di dormire, almeno per ora, a casa. Dan aveva fatto la stessa scelta, pensando a Jenny, che già da una settimana aveva ripreso a frequentare la Costance. Il ruolo di reginetta non le andava a genio come un tempo. Vanessa incontrò un paio di vecchi amici e si fermò a chiacchierare con loro. Blair ne approfittò per sgattaiolare via, portandosi Serena per mano.
Vagarono nei corridoi pieni con fatica. Si fecero strada tra le decine e decine di studenti fino a giungere finalmente al secondo piano. Un fitto mormorio andava sempre aumentando. Molti gruppetti di ragazzi, riuniti in crocchio, parlottavano tra loro. Serena era sicura che qualcuno l’avesse perfino additata. “Non qui, per favore non qui” non ne poteva più di gente che parlava di sua madre, di Bart e di lei. Era quella famosa Serena? Davvero, quella Serena? Se li immaginava già nella testa. Ma se una volta si sarebbe sentita onorata e intensamente realizzata, ora quei commenti le facevano schifo. Avrebbe solo ed esclusivamente voluto che smettessero, che guardassero solo… qualcun altro.
Anche Blair se ne accorse e ridacchiò. “Dopotutto non è tanto diverso dalla Constance questo posto, tu non trovi?” sussurrò di sbieco. “Mancano solo i cerchietti… vedrò di provvedere” Serena non la stava nemmeno ascoltando davvero. Prese a camminare più veloce, più veloce che poteva, per sfuggire a quei sussurri nelle orecchie. L’avevano seccata quelle ultime parole di Blair. Non era una situazione così leggera come la faceva l’amica. Provò un senso di fastidio e sfilò da dietro il cerchietto a Blair, che camminava impettita, con passo svelto, davanti a lei. “Niente cerchietti al college” disse seria, sfilandoglielo velocemente, attenta a non rovinarle la pettinatura.
Una voce familiare. “Serena, di qua!” Dan le aveva raggiunte. Stava nel bel mezzo del corridoio affollato e aveva una faccia pazzesca. Indecifrabile.
Molte persone sembravano essersi concentrate in quel punto. Continuavano ad arrivare e bisbigliare. Serena tirò Dan verso di sé. Il ragazzo dava le spalle a quella bolgia di persone. “Serena… non credo dia il caso…” balbettava, all’improvviso impaziente e preoccupato. Tentò di bloccare il passaggio alla ragazza, in modo che non potesse raggiungere la folla di curiosi. “Dan, ma che stai facendo?”
Lui non disse niente, ma la trattenne con ancora più forza. Blair osservava la scena impotente, da dietro di loro. “Senti, qualsiasi cosa stiano dicendo, voglio vedere, Dan ti supplico…” non sapeva nemmeno perché, forse vedendola avrebbero smesso di parlare. Non se ne poteva andare, anche se sarebbe stato difficile da affrontare. Tutti loro dovevano iniziare a capire che Serena Van Der Woodsen… che cosa? Non era una codarda? Non scappava davanti alle situazioni? Elegante, ma stupida? Poteva dare torto a quei ragazzi se stavano parlando in quel modo di lei? Aveva mai dimostrato con i fatti di essere diversa da come loro pensavano?
Diede uno spintone a Dan e diede un occhiata a quello che stava succedendo.
Una ragazza distribuiva volantini.
“Tutto qui?” disse Blair scettica quando, seguendo Serena, vide la ragazzina con le trecce distribuire febbricitante dei fogli A4 colorati. Non era la ragazza, piccola, bassina, con due enormi occhiali che le coprivano la faccia. A Dan ricordò un po’ Nelly Yuki. No, non era quell’insignificante ragazza. Era quello che c’era scritto sul volantino ad aver fatto accorrere tutta quella gente.
Ting ting. Un messaggio.

Qui è Gossip Girl. La vostra sola e unica fonte sulle vite scandalose delle elite di Manhattan!
Spotted. Queen B, o forse dovrei dire, ex queen B.
La situazione non è cambiata, miei cari.
B continua a far parlare di sé, anche al college. Credevamo che sarebbe diventata insignificante, che non sarebbe più stata la regina, e invece il suo nome è sulla bocca di tutti gli studenti.
Non ci credete che non sia stata io a pubblicare le notizie, vero?
Leggete bene i volantini, ma i miei affezionati lettori conoscono già ogni parola.
Ma gli studenti della NYU no.
Povera Bee. E dire che ancora non avevo scoperto altro su di lei.
Di questo passo comunque, ci risentiremo presto.
Il college non sembra tanto diverso dall’high school, a voi non pare?
Xoxo, Gossip Girl

Parecchi cellulari suonarono nello stesso momento, mentre Blair leggeva raccapricciata il post di Gossip Girl.
Serena e Dan si guardarono per un attimo. “Te l’avevo detto che era meglio che non veniste di qua” la faccia di Dan, senza parlare, sbraitava queste parole.
Blair senza chiedere spiegazioni strappò di mano un volantino alla persona più vicina.
Giallo, blu e rosso.
Chi l’aveva fatto non aveva proprio gusto per i colori. Scritte ovunque, fitte fitte.
Ogni cosa. Ogni minima cosa che aveva fatto era scritta su quel pezzo di carta colorata. Senza mezze misure, senza addolcire la pillola. Nessuno sconto.
“Ha perso la verginità in una limo dieci minuti dopo averlo lasciato il suo ragazzo di una vita”
“Ha calunniato un’insegnante perché le aveva dato una B”
“Ha supplicato il rettore, cercando di sedurlo, per poter entrare a Yale”
“È andata a letto con lo zio del suo attuale fidanzato”
Il volantino continuava e continuava. Ancora e ancora. Blair lo fissò per parecchi lunghi secondi. A un certo punto non distinse più le intere frasi, ma solo parole a casaccio, qua e la.
“Bugia” ; “Calunnie” ; “Tradimento” ; “Viltà” ; “Subdola” ; “Adulterio” ; “Infedeltà” ; “Simulazione” ; “Falsità” …
Gli occhi le si colorarono di lacrime. Persa ogni forza, appallottolò con rabbia il volantino e si voltò a guardare la folla, in cerca del biondo conforto. Prima di trovare Serena con gli occhi, vide parecchia gente ridere. Ridere di lei.
“C’era una volta, in un mondo lontano lontano, una regina” Che ora è meno che niente.
Nuova vita, lasciarsi il passato alle spalle, essere migliore perfino.
Non glielo avrebbero mai permesso.
Serena borbottò “Oh, finitela!” a quel punto avrebbe preferito che parlassero di lei. Per non vedere Blair in quello stato, avrebbe preferito che il volantino fosse su di lei. Reggeva meglio di Blair certi affronti personali. Cinse le spalle dell’amica con un braccio e si diresse verso la porta che Dan gli stava indicando, la porta della camera di Blair.
Si chiusero la porta alle spalle con un grosso tonfo. “Oh Blair, mi dispiace, mi dispiace” e abbracciò l’amica, che si abbandonò tra le sue braccia. Si lasciò consolare qualche secondo, poi urlò tutta la rabbia che le era montata in corpo.
“Chi diavolo, chi diavolo si è permesso??!” camminava per la stanza a passi molto ampi.
Non si era nemmeno data il tempo di darle un’occhiata. Una stanza molto carina, arredata con elegante semplicità. Due letti, uno a destra e uno a sinistra. la metà di destra era assolutamente speculare a quella di sinistra. sulla porta che avevano fatto sbattere era stata attaccata una grossa bacheca, parecchi libri erano già disposti sugli scaffali e le finestre avevano già le tende. Due lettere con un timbro dell’università erano posate sulla grossa scrivania di mogano. Probabilmente il benvenuto.
Blair continuava a inveire. I tentativi da parte di Serena e Dan di calmarla non sortirono alcun effetto.
Le lacrime agli occhi “Io non ci posso credere, chiunque sia stato, lo distruggo, lo distruggo!” prese un libro dallo scaffale e lo lanciò con forza contro la porta, colpendo in pieno la bacheca, che si staccò, rovinando sul pavimento.
Dan, che era davvero, davvero vicino alla porta, ringraziò il cielo di essere ancora vivo (sospettava che il libro dalla copertina dura fosse destinato al suo naso) e raccolse la bacheca. Un grosso post it giallo vi era appiccicato. Dan lo lesse e sorrise.
“Quanto hai promesso di ricompensa a chi ti avrebbe saputo dire il nome del colpevole?” chiese Dan, sventolando il foglietto. Blair sospirò piano, poi scattò e gli rubò il bigliettino dalla mano.
“Sono la tua compagna di stanza! Piaciuto il regalino di benvenuto? Manca qualcosa nella lista? Se manca mi dispiace veramente, ma non ti preoccupare!
Avremo tante, tante notti insonni da passare insieme in questa stanza a raccontarci tutti i nostri segreti! A stasera! Baci, Georgina”

Dan stava facendo una battuta, ma Serena lo fermò. “Ti prego…”
Il labbrò di Blair tremava violentemente di rabbia, di dignità ferita.
Era decisamente troppo. Che schifo di primo giorno di college.
Appallottolò il biglietto e uscì correndo dalla sua stanza.
 
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Gloredhel
Posted on 3/9/2009, 22:41




ohhh si fa interessante anche per blair!!

Ma sbaglio ho la battuta di serena sui cerchietti è di qualcun'altro???? XDDDD
 
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marci#
Posted on 3/9/2009, 22:53




Uahahaha, ma bravissima!
Esatto, esatto, l'ho rubata a Dan e l'ho regalata a Serena XD Non vedo l'ora di vederla quella scena, fra l'altro XD
 
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Gloredhel
Posted on 3/9/2009, 22:54




ohhh anch'io XDD soprattutto per la faccia che fa blair XDD
 
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marci#
Posted on 4/9/2009, 23:34




Se avete visto GA, e ricordate quella quasi relazione tra Addy e Alex, saprete quale frase mi ha ispirato per questo capitolo *ò*
E anche un pochino Sam e Quentin di oth, a dire il vero, nella 6x3, pensando alla quale piango come una cretina ancor oggi xD

19. Stella cadente
Blair

Rimase seduta così in quel vicolo per quelle che sembrarono ore. Il respiro mozzo, affannato. Non sapeva dove si trovava, ma non si guardò intorno. Si limitò a fissare i suoi piedi, incredula e sorpresa dal fatto che fossero riusciti a farle compiere tutti quei passi e così velocemente. Quelle parole le risuonavano ancora in testa come martellate. Un perfetto, primo giorno di college.
Era possibile, possibile che ancora una volta l’avessero fatta a pezzi in quel modo? O meglio, era possibile credere a quello che aveva sentito, da chi lo aveva sentito?
Cambiò idea un’infinità di volte, seduta con le gambe strette al petto. Per una volta non le importava che il vestito le si sporcasse, non le importava di niente. Per una volta nella vita, unica volta che al momento ricordasse, detestò il fatto di essere Blair Waldorf. Lo detestò in quell’attimo, breve, deciso, così distante, perché se non lo fosse stata, ora non si sentirebbe così spezzata. Se non avesse fatto tutte quelle cose, nessuno avrebbe potuto ora rinfacciargliele. Ma era davvero giusto pentirsi di quello che aveva fatto? Era forse pentita di essere salita su quella limo, quella sera? Sapeva perfettamente la risposta, ma faceva male comunque. Voleva Chuck. Lui l’avrebbe consolata, anzi, meglio, avrebbe fatto passare dei brutti momenti alla cretina con le treccine e anche a Georgina. Lei e Chuck erano specializzati a combattere contro di lei. Anche se Chuck, lui non l’avrebbe mai ammesso, ma Blair lo sapeva perfettamente, vedeva in Georgina un certo fascino. Il fascino del proibito, il fascino dell’immorale, del menefreghismo. Ma le avrebbe comunque dato una lezione, se fosse stata lei a chiederglielo. Però lui non era lì, e le tenebre cominciavano a scendere. In quelli che parvero pochi minuti, arrivò la notte. Scura, senza luna. Blair non piangeva, ma non aveva voglia di andare a casa. Indossava vestiti leggeri e cominciò presto a sentire freddo. Alzò lo sguardo e si rese conto di non avere la più pallida idea di dove si trovasse. Si asciugò il viso con una mano e si mise in piedi. Un nota di panico cominciò a salire dallo stomaco e arrivò a pervadere ogni fibra del suo corpo. Quella nota si mosse piano, guardinga, ma si diramò come una ragnatela fino a raggiungere perfino la punta dei capelli. Non era certa di essere arrivata da destra o da sinistra. Accidenti, perché nessuno la cercava? L’immensa parte di sé che adorava sinceramente essere Blair Waldorf andò a bussare al suo orgoglio ferito. Esso si destò come un leone in gabbia e ruggì. Con cipiglio più convinto Blair imboccò la strada senza lampioni alla sinistra del muro di mattoni che l’aveva ospitata fino ad allora. Aveva lasciato borsa e annesso cellulare in quella stupida stanza. Merda.
Frugando nelle tasche in cerca di ciò che sapeva non essere lì quasi non si accorse del sonoro fischio che proveniva da dietro l’ennesimo sconosciuto edificio a cui passava davanti. Quando il cervello elaborò quello che aveva sentito ordinò automaticamente alle gambe di muoversi più veloci, ma i movimenti sembravano come rallentati. Due figure si stagliarono nel nero dietro di lei. Ridevano forte.
Rumore di cocci e vetro. In un vicolo, da sola, di notte, visibilmente non una stracciona, molto carina.
Merda.
Che cosa avrebbe detto il mondo? Che cosa avrebbe detto se il giorno dopo, Dorota non avesse trovato Blair nel suo letto? Cosa avrebbe detto, se l’avessero catalogata come l’ennesima vittima della malavita newyorkese?
Pensò subito che Serena avrebbe pianto. E tanto anche. Sarebbe stata segnata a vita. Si sarebbe ricordata di tutte le cose che si erano promesse di fare insieme, si sarebbe maledetta per aver rovinato la loro amicizia fuggendo, quella volta. Avrebbe ricordato tutte le volte sui gradini del Met, tutte le volte che avevano riso e scherzato, a quello che avevano fatto l’una per l’altra.
Nate avrebbe preso la testa fra la mani e sarebbe andato a piangere da qualche parte, Blair sapeva che a lui non piace piangere davanti a tutti. Piangeva oltretutto in un modo che Blair considerava ridicolo, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo in faccia. Una piccola parte di sé adorava il fatto che Nate si sarebbe sentito tremendamente in colpa.
Dorota sarebbe stata inconsolabile, sarebbe crollata a terra. Non ricordava momenti particolari di Dorota triste, era sempre stata la sua pillola del buonumore. Al massimo scocciata, arrabbiata, ferita, ma mai depressa.
E Chuck? Si sarebbe mai perdonato una cosa del genere? Se per la morte del padre, con cui non aveva nemmeno un buon rapporto, aveva reagito quasi buttandosi da un tetto, che avrebbe fatto al pensiero che Blair era morta? Non l’avrebbe superato, era sicura. Non era alta stima di sé stessa, era la pura verità. La sentiva, in fondo, come una consapevolezza sempre rimasta a gemere nelle viscere di se stessa. Lo sapeva perché sentiva lei lo stesso. Non aveva mai pensato, fino a quel giorno sul tetto, a cosa avrebbe fatto se non ci fosse più stato Chuck. Aveva sentito che non avrebbe potuto sopportarlo, anche con tutta la buona volontà. Magari non sarebbe morta, magari non si sarebbe suicidata, ma il pensiero di vivere senza di lui era qualcosa di non tollerabile.
I due tizi la stavano inseguendo. Spinta da quei pensieri, cercò di correre ancora più veloce. Aveva visto abbastanza film dell’orrore da sapere che se una fanciulla scappa da due malviventi in vicoli bui, prima o poi incontra una strada chiusa.
Si era detta molte volte che era una cosa ridicola.
L’ho sempre detto che è meglio “Colazione da Tiffany” che “Non aprite quella porta”.
Un muro alto a occhio tre volte lei le sprangò la strada.
Maledetto Nate.
Il buio era completo, non un rumore, a parte quello del vento che soffiava e del traffico in lontananza. Nessuno poteva sapere che era lì, né mai se lo sarebbe immaginato.
“E che cavolo” mormorò a sé stessa, vedendo i tizi che si avvicinavano. Voleva sentire ancora una volta il suono della sua voce. Sapere che respirava ancora. Sapere che poteva ancora cambiare le cose.
Ormai erano vicini. Blair diede un occhiata al cielo.
Una stella cadente, proprio sopra di lei.
Blair chiuse gli occhi e attese.
Sapeva che qualcuno se ne sarebbe accorto.
Voleva dire che aveva lasciato un segno nelle loro vite? Era fortunata, dopo tutto. Aveva amato. Era stata amata. Una figlia, un’amica, una regina, a modo suo.
Ma non voleva morire. Prese a urlare con tutte le sue forze quando i due uomini incominciarono a spintonarla. La tennero ferma al muro e incominciarono a strapparle i vestiti. Blair urlava a pieni polmoni, ma sembrava che le grida rimbalzassero sui corpi degli uomini e tornassero esattamente da dove erano partite. Uno schiaffo. Non abbandonò senza lottare. Un graffio, un calcio, forte, più forte che poteva. Poi sentì la testa sbattere contro il muro di mattoni. Qualcosa di caldo e bagnato prese a scorrere sui suoi capelli, bagnandole dolcemente il collo.
Perse i sensi aspettando la sua stella cadente.
 
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65 replies since 25/8/2009, 22:28   859 views
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