| Eccomi, con il nuovo!
L'ispirazione per questo capitolo mi è venuta quando mi son trovata da sola in bici in una via di campagna completamente buia e con rumori sinistri xD Mi son immaginata la scena di me aggredita XDD
20. Previously Chuck “Dove diavolo si è cacciata?!” per la quinta volta, Chuck ripeté la stessa frase, più a se stesso che ad altri. “Tu non pensi… che possa c’entrare qualcosa con la sparizione di Lily?” azzardò Vanessa. Si avvicinò un poco a Chuck. Era la prima volta che si parlavano di nuovo, dopo quell’imbarazzante ultimo dialogo. Chuck nemmeno la guardò, e continuò a solcare il pavimento. La battuta di Dan sul fatto che da lì a poco avrebbe scavato un buco se non si fosse messo fermo non fece ridere nessuno. “Non è a casa, non è da noi, non è a Brooklyn, nessuno della mia rubrica l’ha vista, nessuno l’ha incrociata nei posti che di solito frequentiamo. Gossip Girl non ha pubblicato nulla su di lei. Senti, io credo che sia scossa, starà camminando da qualche parte…” nemmeno lei credeva a quello che stava dicendo, e certamente non ci credeva Chuck. Il ragazzo appoggiò le mani al tavolo, fissandolo intensamente. “Vado a cercarla” Nate che si era materializzato lì da poco, fece per seguirlo. Serena, quasi meccanicamente, si unì al gruppo. La ragazza afferrò il cappotto e chiese a Dan di continuare a cercare e rimanere lì al college nel caso tornasse a prendere le sue cose. Vanessa, se pur non interpellata si unì a Dan nella promessa che avrebbe fatto tutto il possibile. La porta sbatté violentemente dietro di lei, facendo vibrare i vetri delle finestre che davano sul campo del campus. “Sempre drammatici” sussurrò Vanessa. Dan si limitò a lanciarle un’occhiataccia, e riprese in mano il cellulare.
Il sole scendeva lentamente, dietro le sagome dei grattacieli. Chuck camminava spedito, più avanti degli altri due, chiedendo di volta in volta ai passanti se per caso avessero visto una ragazza mora, vestita in modo molto elegante, alta più o meno così… Sebbene fosse meno piena del solito, per colpa dell’inquietante freddo estivo, continuavano a transitare per la strada milioni di persone. Impossibile immaginare dove potesse essere scappata Blair. Continuarono a cercarla per ore, ogni tanto sentivano gli altri, per sapere se per caso fosse tornata a casa. Magari gli stava solo facendo un sadico scherzo, li voleva far soffrire un po’ scomparendo, ma date le circostanze, convennero tutti che sarebbe stato uno scherzo di pessimo gusto, non da Blair. Lei che più di ogni altro sapeva come si sentissero in quei giorni i suoi amici, l’angoscia di sapere che non sai se la persona che ami sta bene o male, se gli manchi o no. Mai avrebbe fatto un simile scherzo. La luce si attenuava di minuto in minuto, di secondo in secondo. Nessun segno da Blair. “Ho un brutto presentimento” disse Serena piano, per non farsi sentire da Chuck. “Mi ricordi una volta che i tuoi presentimenti si siano rivelati giusti?” Nate provò a fare la voce seria, ma uscì un ibrido non identificato. “Scemo. Dimmi dov’è allora! Conosco Blair, l’ho cercata in tutti i posti in cui potrebbe essere e…” “E lei conosce te. Senti, se non vuole essere trovata, ti assicuro che Blair sa come fare” Nate le passò un braccio intorno alla spalla. Il discorso filava, ma Nate non credeva a tutte le cose che aveva detto. Non veramente. Ma voleva far sentire meglio Serena, e quello era esattamente il genere di parole che la ragazza aveva bisogno di sentire. Serena accettò il braccio di Nate su di sé con un certo piacere. Svoltarono parecchi angoli, seguendo la furia ceca di Chuck. Interrogarono un vecchio con il bastone tremolante, una bimba con un gran gelato e un gruppo di ragazzi alti e inquietanti, riuniti a crocchio intorno a una panchina. Sembravano in riunione, tutti vestiti in modo simile e pieni di tatuaggi. “L’avete vista?” chiese paziente Nate. Tra tutti i ragazzi, spuntò una voce femminile. Nate e Serena l’avevano scambiata per un ragazzo, ma toltasi il cappello le si illuminò un viso femminile e aggraziato. Lunghi capelli corvini le ricadevano sulla schiena. Masticava rumorosamente una gomma. “Correva come una forsennata?” Il viso di Chuck riprese colore e si girò verso di loro “Si, probabilmente” tastò le tasche e cercò nel suo cellulare una foto di Blair, chiedendosi stupidamente perché non lo aveva preso fuori prima “è questa?” domandò veloce. “Um um” tranquilla, la ragazza continuava a masticare la sua gomma, noncurante dell’apprensione tangibile dei tre ragazzi davanti a lei. “Stavo attraversando la strada e mi è venuta addosso! Non guardava dove andava. Che hai fatto le hai spezzato il cuore?” disse ridendo. Aveva una risata cristallina, ma cupa, senza gioia. “Da che parte è andata?” Ancora ridendo con i suoi compari, la ragazza segnò una via alle sue spalle. “Si è infilata là. Auguri…” disse enigmatica e scoppiò nella stessa risata di prima, seguita dai tipi che la accerchiavano. Chuck corse subito da quella parte, seguito a ruota da Serena e Nate, che non riuscivano a tenere il suo passo. Ancora per molti passi echeggiarono le fredde risate dei ragazzi della panchina. Svoltarono molti vicoli. Uno dopo l’altro, uno uguale all’altro. Chuck nutriva la segreta speranza che Blair si fosse persa lì in mezzo e stesse aspettando da qualche parte che qualcuno la portasse fuori. Ormai era scesa la notte. Qualche rada stella rendeva il cielo di un nero opaco. Chuck smise di camminare all’incrocio tra due strade. Non aveva la più pallida idea di come proseguire. “Questo posto non mi piace, siamo sicuri che quelli dicessero la verità?” fece notare Serena. “Oh, io lo adoro invece e quelli mi sembravano dei così bravi ragazzi, soprattutto quello grosso come un armadio con il teschio tatuato sul braccio” fece Nate, ma Chuck non li stava ascoltando. Guardò il cielo e vide una stella cadente. Cadde in modo obliquo, quasi una freccia rivolta a sinistra. Chuck respirò profondamente e prese la strada che la stella pareva avergli indicato. Si stava attaccando alle stupidaggini. Era assurdo, assurdo. Proseguì veloce nel vicolo, senza nemmeno più la consapevolezza degli altri che lo seguivano dietro. Aveva il cervello sgombro, l’unica cosa che gli importava, era vedere di nuovo Blair. Era concentrato a non pensare a cosa potrebbe accadere se le succedesse qualcosa. Pensava solo al suo profumo nelle narici, la pelle della mano nella sua, la sua voce squillante. Quasi ad accontentarlo, si levò un grido. Forte, penetrante, di terrore. Di aiuto. “È Blair!” la voce di Serena riempì l’istante di puro silenzio angosciante che seguì l’urlo. Non più a tentoni, ma guidati dalle grida, che si levavano a intervalli quasi regolari, i tre ragazzi corsero più veloce, e più veloce ancora. Le grida si fecero sempre più acute, fino al silenzio. Tombale, innaturale, morto. Le gambe di Chuck si fermarono di botto, come colpite da una spranga di metallo. Cercò di rimanere in equilibrio sui suoi stessi piedi e contemporaneamente di mettere a fuoco la scena che aveva davanti. Blair a terra, esanime. Un uomo con un giubbotto di pelle nera come la notte si stava curvando su di lei. Rideva con il suo amico. La stessa risata dei ragazzi di prima, sempre acuminata e senza gioia. Non fece in tempo a pensare. Chuck gli si scagliò addosso con tutta la rabbia che montava il suo petto. Spense la sua risata. L’amico, dopo un attimo di incredulità e spaesatezza, fece per intromettersi. Nate intimò a Serena, che fissava la scena inorridita, di stare lontano e si gettò a fermare l’altro tizio. Con le mani tremanti, 1… no, 9… 1… 1. Avrebbe voluto andare da Blair, ma aveva le gambe paralizzate dall’orrore. Osservava non vista la lotta a quattro, non sapendo dove guardare. Ora il sangue di Blair, che giaceva a terra pallida e spettrale, afflosciata su di sé, ora il pugno che Nate ricevette sull’orecchio, ora la ginocchiata di Chuck, che costrinse il tipo più grosso in ginocchio. Guardava la scena paralizzata, come se il suo cervello avesse perso ogni diritto di comando sui nervi e sui muscoli. Le sirene in lontananza. I due tizi strattonarono come poterono Chuck e Nate sbattendoli con tutte le loro forze, con le ultime forze rimaste, contro il muro. Scapparono via, nei vicoli privi di luce. Nate rimase a terra, a pancia all’aria, respirando l’aria pungente, ringraziando di avere ancora un naso per farlo, anche se probabilmente rotto. Sentì la voce di Serena, vagamente lontana, dire a un poliziotto qualcosa su un giubbotto di pelle nera. Distinse le parole “amica aggredita”. Poi sentì dei passi che si avvicinavano al muro più lontano da loro, quello ai cui piedi giaceva Blair. Era Chuck, che faticosamente si stava trascinando verso di lei. Si fermò solo un secondo a osservare il rivolo di sangue che le scendeva dalla tempia. Poi la prese tra le braccia, dandole dei colpetti sulla faccia, chiamando il suo nome ripetutamente. Nessuna risposta. Ancora niente. Si chinò su di lei. Appoggiò la testa sul suo petto, in attesa.
“No… non sparire… non sparire” sussurrò disperato Chuck baciandole la fronte, nella speranza di sentirla calda e tremante. Passarono secoli. No, no, passarono anni, o forse ore, sicuramente molti minuti con moltissimi secondi. “Se domani sparissi te ne accorgeresti?” Blair aprì gli occhi lentamente. Chuck riprese a respirare. Si chiese istantaneamente come avesse fatto a rimanere tutti quei secondi senza tirare fiato. Senza sentire l’aria colpire i polmoni. Sentire quel flebile sussurrò dava quasi pace alle aggressive pulsazioni della sua tempia destra, dove aveva ricevuto un pugno corredato da qualcosa di così duro da non poter certo essere nocca di mano. “Che domanda idiota” “Rispondimi” sussurrò Blair richiudendo le palpebre stanche. “Si. Lo sai. Ma resta una domanda idiota” la prese in braccio. Blair appoggiò la testa al suo petto. Tentava di muovere qualche muscolo del viso per fargli sapere che era con lui, che non si doveva preoccupare. Saliti sulla macchina della polizia Blair crollò. Non seppe se era sonno o se era svenuta. Sapeva solo che era felice. Il suo desiderio era stato esaudito.
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