| Questo è principalmente su Chuck *-* E sto lavorando a quello dopo... xD
29. Schegge Chuck Provò a concentrarsi sullo spacco del vestito di Blair. Portava un vestito rosso molto elegante, con uno spacco piuttosto esagerato sulla schiena. Poteva intravedere quel lembo di pelle nuda con esaltante chiarezza. Fece un sospiro, chiuse gli occhi e li riaprì su di lei. Ancora una volta. Ma faceva comunque fatica a respirare. Era rimasto un passo dietro a lei, poi si era fermato. Blair si voltò, con espressione interrogativa si rivolse a lui “Non provare a farmi credere che hai paura, Chuck Bass”. Chuck la guardò con espressione torva e le rispose “Non ho affatto paura”. Poi spavaldo “è solo che lo spacco del tuo vestito provocherebbe pensieri osceni a chiunque, figuriamoci a me” e la guardò malizioso. Le labbra increspate di Blair si aprirono in un sorriso, malizioso anch’esso. “Non faccio fatica a crederlo… anzi, ti confesserò che l’ho indossato apposta” “Il pensiero di non potertelo sfilare mi rende triste, Waldorf, sei crudele, e proprio oggi poi” restava fermo, a parlarle senza muovere più un muscolo, tranne quello facciale. “Anzi, pensavo che forse si potrebbe saltare tutta questa faccenda del consiglio in ufficio e… accelerare i tempi del mio regalo ecco” disse, avvicinandosi. “Chuck…” Blair lo guardò, improvvisamente più seria, ma sempre sorridendo. “Andrà tutto bene. Davvero. Qualsiasi cosa succeda sono qua fuori ad aspettarti” gli tese la mano. Chuck fissò per un attimo il braccio e la mano aperta tesa verso una delle sue mani, chiuse entrambe a stretto pugno nella tasche dei pantaloni. Blair doveva essersene accorta. Svuotò il cervello e le prese dolcemente la mano. “D’accordo” e sospirò. Entrambi ripresero a camminare verso la porta dell’ufficio. Un’ombra di luce dorata si riflesse nella fine pietra incastonata nel cerchietto di Blair. La targa era rimasta sempre lì appesa, nessuno aveva mai avuto la malsana idea di farla rimuovere. “Bart Bass – presidente Bass Industries” Chuck aveva sempre usato uno degli altri uffici e non si era mai più azzardato a tirare le tende della sua memoria. Troppi ricordi, troppe umiliazioni, troppe speranze calpestate erano state chiuse tanti anni e lasciate ammuffire in quello stupido ufficio. Da piccolo a Charles era stato impedito di metterci piede. Il bimbo non faceva che pregare la tata di turno affinchè lo portasse là, ma gli era stato sempre risposto di no. Aveva fantasticato tanto su cosa potesse esserci di tanto bello e proibito in quell’ufficio, qualcosa di così bello ed esaltante, che il padre preferiva passare tutto il tempo là dentro, anziché insieme a lui. Il giorno che decise di introdurvisi di nascosto, fu il giorno in cui ebbe la più grande delusione della sua vita. Niente mostri, schermi e apparecchiature. Solo un’enorme scrivania di mogano, tende rosso sangue, quadri inquietanti quanto quelli di casa e un computer di ultima generazione con all’interno non più di un migliaio di noiosi documenti di lavoro. C’era una fotografia sulla scrivania, accanto a un pacchetto di sigarette quasi terminato. Chuck fumò la sua prima sigaretta osservando quella foto, seduto per terra, appoggiato al muro immacolato, pensando a quanto fosse bella sua madre. A quanto avrebbe pagato per non averla uccisa. A quello che avrebbe dato per possedere almeno un proprio angolo, se non del cuore, almeno della scrivania di Bart. Un angolo che parlasse di lui. “Ti aspetto qui” sussurrò Blair al suo orecchio, accomodandosi su una poltrona accanto alla porta. “Si” ma voleva dire grazie, e Blair lo sapeva. Gettandosi alle spalle tutti i ricordi e i rimorsi, bussò, ed entrò nell’ufficio, dove lo aspettava il consiglio di amministrazione. Dopo averlo estromesso da ogni decisione, non si erano più fatti vivi per un mese. Chuck si era messo il cuore in pace, e quasi non avrebbe voluto nemmeno rispondere a quella chiamata. Non voleva mettere piede in quell’ufficio, ma questo a Blair non l’aveva detto. Serena aveva insistito, e così pure Dan e Jenny. Per loro aveva ceduto. Dopotutto, gli volevano parlare di Lily. Sentiva in qualche modo di doverglielo. “Buonasera Charles” cominciò un uomo attempato, sulla sessantina con gli occhi piccoli e liquidi. “Siediti prego” cercava di essere gentile, con scarsi risultati. Senza una parola Chuck prese posto. “Inutile dirti, ragazzo, che la situazione non è delle migliori” fece un passo avanti, e gli si avvicinò. Chuck lo fissava senza una particolare espressione. “La morte del nostro presidente, di nuovo, è un fatto molto grave, che nuoce all’immagine dell’azienda” “Se è tutto quello che dovevate dirmi, direi che qui ho finito” scocciato da quelle parole, Chuck fece per alzarsi. “Fermati. Mi capirai ovviamente, se ti dico che le nostre conoscenze riguardo opinione pubblica e mercato sono molto più… diciamo, sviluppate di quelle della gente comune” “E allora?” Chuck non capiva dove l’uomo volesse andare a parare. L’aria cupa e ammuffita della stanza, e la luce fioca che le spesse tende filtravano davano a quella conversazione l’aria di un interrogatorio nazista senza domande. “E allora forse tu non sai che parecchia gente ti ritiene colpevole, ragazzino” “Parecchia gente ritiene che Elvis e Hitler siano ancora vivi, ma non per questo lo sono davvero” “La polizia sta conducendo indagini. Su di te. E al funerale di Bart c’era tutta New York e tutti si ricordano il tuo simpatico siparietto” supportato da mugugni degli altri vecchi, tutti uguali, che se ne stavano impalati dietro di loro. “Mi sta accusando di qualcosa forse?” disse Chuck, ora ridendo beffardo. L’uomo lo guardò per un attimo, poi gli strinse con forza la spalla, chinandosi su di lui, impedendogli di alzarsi. “Stammi bene a sentire, stupido ragazzino impertinente, questo smacco all’immagine dell’azienda sta facendo perdere montagne di soldi tanto a me quanto a te, quindi vediamo di arrivare a un punto” disse stringendo sempre più forte. “O fai pubblica ammenda e confessi tutto, o sparisci dalla circolazione, in ogni caso l’unico modo è far passare ufficialmente tutto nelle nostre mani. Devono credere di potersi fidare ancora di noi, mi hai capito bene? Se lo farai posso anche pensare di continuare a mantenere il lusso di cui ti circondi, in caso contrario ti rovino. Mi hai capito bene?” Chuck si divincolò dalla morsa e si alzò in piedi. “Questa azienda è mia. Non appena raggiungerò l’età prestabilita tutto questo sarà mio, quindi se questa era una domanda, la mia risposta è no. Non sparirò, e di certo non confesserò un crimine che non ho commesso solo per pararvi il culo!” A quelle parole l’uomo montò su tutte le furie. Afferrò l’oggetto che si trovava più vicino a lui, deciso a scagliarlo a terra. Una cornice che ritraeva una bella donna sorridente era ancora appoggiata sulla scrivania di Bart. L’uomo la gettò a terra con tutte le sue forze. “Tu non capisci, ci rovinerai!” disse mentre le schegge di vetro si spargevano sul tappeto, creando un pittoresco fuoco d’artificio argentato. “Devi ragionare! Devi farlo per il bene dell’azienda!” strillava l’uomo, viola in viso e con le mani più gonfie rispetto a prima. Chuck fissò per un attimo la fotografia della madre, scivolata fuori dalla cornice, sotto i vetri infranti. Fu come se uno di quei vetri si fosse infilato nelle sue pupille e fosse penetrato sino al baricentro del cervello. Con la vista annebbiata e i pensieri confusi, Chuck uscì dall’ufficio di suo padre sbattendo la porta.
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