Whatever you're going through I wanna be there for you

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marci#
Posted on 29/9/2009, 00:10




Uh Sandra hai letto, che bello! *ò*
Mi fa piacere che ti stia piacendo ^^
Il mio problema è che ho passato troppo tempo guardando Lost, e adesso ho il pallino per i misteri e i colpi di scena che vengono spiegati secoli più avanti x°DD
 
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marci#
Posted on 4/10/2009, 01:34




Questo è principalmente su Chuck *-*
E sto lavorando a quello dopo... xD

29. Schegge
Chuck
Provò a concentrarsi sullo spacco del vestito di Blair.
Portava un vestito rosso molto elegante, con uno spacco piuttosto esagerato sulla schiena. Poteva intravedere quel lembo di pelle nuda con esaltante chiarezza. Fece un sospiro, chiuse gli occhi e li riaprì su di lei. Ancora una volta.
Ma faceva comunque fatica a respirare.
Era rimasto un passo dietro a lei, poi si era fermato.
Blair si voltò, con espressione interrogativa si rivolse a lui “Non provare a farmi credere che hai paura, Chuck Bass”.
Chuck la guardò con espressione torva e le rispose “Non ho affatto paura”.
Poi spavaldo “è solo che lo spacco del tuo vestito provocherebbe pensieri osceni a chiunque, figuriamoci a me” e la guardò malizioso.
Le labbra increspate di Blair si aprirono in un sorriso, malizioso anch’esso.
“Non faccio fatica a crederlo… anzi, ti confesserò che l’ho indossato apposta”
“Il pensiero di non potertelo sfilare mi rende triste, Waldorf, sei crudele, e proprio oggi poi” restava fermo, a parlarle senza muovere più un muscolo, tranne quello facciale.
“Anzi, pensavo che forse si potrebbe saltare tutta questa faccenda del consiglio in ufficio e… accelerare i tempi del mio regalo ecco” disse, avvicinandosi.
“Chuck…” Blair lo guardò, improvvisamente più seria, ma sempre sorridendo.
“Andrà tutto bene. Davvero. Qualsiasi cosa succeda sono qua fuori ad aspettarti” gli tese la mano.
Chuck fissò per un attimo il braccio e la mano aperta tesa verso una delle sue mani, chiuse entrambe a stretto pugno nella tasche dei pantaloni. Blair doveva essersene accorta.
Svuotò il cervello e le prese dolcemente la mano. “D’accordo” e sospirò.
Entrambi ripresero a camminare verso la porta dell’ufficio. Un’ombra di luce dorata si riflesse nella fine pietra incastonata nel cerchietto di Blair.
La targa era rimasta sempre lì appesa, nessuno aveva mai avuto la malsana idea di farla rimuovere. “Bart Bass – presidente Bass Industries”
Chuck aveva sempre usato uno degli altri uffici e non si era mai più azzardato a tirare le tende della sua memoria. Troppi ricordi, troppe umiliazioni, troppe speranze calpestate erano state chiuse tanti anni e lasciate ammuffire in quello stupido ufficio.
Da piccolo a Charles era stato impedito di metterci piede. Il bimbo non faceva che pregare la tata di turno affinchè lo portasse là, ma gli era stato sempre risposto di no. Aveva fantasticato tanto su cosa potesse esserci di tanto bello e proibito in quell’ufficio, qualcosa di così bello ed esaltante, che il padre preferiva passare tutto il tempo là dentro, anziché insieme a lui. Il giorno che decise di introdurvisi di nascosto, fu il giorno in cui ebbe la più grande delusione della sua vita. Niente mostri, schermi e apparecchiature. Solo un’enorme scrivania di mogano, tende rosso sangue, quadri inquietanti quanto quelli di casa e un computer di ultima generazione con all’interno non più di un migliaio di noiosi documenti di lavoro. C’era una fotografia sulla scrivania, accanto a un pacchetto di sigarette quasi terminato. Chuck fumò la sua prima sigaretta osservando quella foto, seduto per terra, appoggiato al muro immacolato, pensando a quanto fosse bella sua madre. A quanto avrebbe pagato per non averla uccisa. A quello che avrebbe dato per possedere almeno un proprio angolo, se non del cuore, almeno della scrivania di Bart. Un angolo che parlasse di lui.
“Ti aspetto qui” sussurrò Blair al suo orecchio, accomodandosi su una poltrona accanto alla porta.
“Si” ma voleva dire grazie, e Blair lo sapeva. Gettandosi alle spalle tutti i ricordi e i rimorsi, bussò, ed entrò nell’ufficio, dove lo aspettava il consiglio di amministrazione. Dopo averlo estromesso da ogni decisione, non si erano più fatti vivi per un mese.
Chuck si era messo il cuore in pace, e quasi non avrebbe voluto nemmeno rispondere a quella chiamata. Non voleva mettere piede in quell’ufficio, ma questo a Blair non l’aveva detto. Serena aveva insistito, e così pure Dan e Jenny. Per loro aveva ceduto. Dopotutto, gli volevano parlare di Lily. Sentiva in qualche modo di doverglielo.
“Buonasera Charles” cominciò un uomo attempato, sulla sessantina con gli occhi piccoli e liquidi. “Siediti prego” cercava di essere gentile, con scarsi risultati.
Senza una parola Chuck prese posto.
“Inutile dirti, ragazzo, che la situazione non è delle migliori” fece un passo avanti, e gli si avvicinò. Chuck lo fissava senza una particolare espressione.
“La morte del nostro presidente, di nuovo, è un fatto molto grave, che nuoce all’immagine dell’azienda”
“Se è tutto quello che dovevate dirmi, direi che qui ho finito” scocciato da quelle parole, Chuck fece per alzarsi.
“Fermati. Mi capirai ovviamente, se ti dico che le nostre conoscenze riguardo opinione pubblica e mercato sono molto più… diciamo, sviluppate di quelle della gente comune”
“E allora?” Chuck non capiva dove l’uomo volesse andare a parare. L’aria cupa e ammuffita della stanza, e la luce fioca che le spesse tende filtravano davano a quella conversazione l’aria di un interrogatorio nazista senza domande.
“E allora forse tu non sai che parecchia gente ti ritiene colpevole, ragazzino”
“Parecchia gente ritiene che Elvis e Hitler siano ancora vivi, ma non per questo lo sono davvero”
“La polizia sta conducendo indagini. Su di te. E al funerale di Bart c’era tutta New York e tutti si ricordano il tuo simpatico siparietto” supportato da mugugni degli altri vecchi, tutti uguali, che se ne stavano impalati dietro di loro.
“Mi sta accusando di qualcosa forse?” disse Chuck, ora ridendo beffardo.
L’uomo lo guardò per un attimo, poi gli strinse con forza la spalla, chinandosi su di lui, impedendogli di alzarsi. “Stammi bene a sentire, stupido ragazzino impertinente, questo smacco all’immagine dell’azienda sta facendo perdere montagne di soldi tanto a me quanto a te, quindi vediamo di arrivare a un punto” disse stringendo sempre più forte.
“O fai pubblica ammenda e confessi tutto, o sparisci dalla circolazione, in ogni caso l’unico modo è far passare ufficialmente tutto nelle nostre mani. Devono credere di potersi fidare ancora di noi, mi hai capito bene? Se lo farai posso anche pensare di continuare a mantenere il lusso di cui ti circondi, in caso contrario ti rovino. Mi hai capito bene?”
Chuck si divincolò dalla morsa e si alzò in piedi. “Questa azienda è mia. Non appena raggiungerò l’età prestabilita tutto questo sarà mio, quindi se questa era una domanda, la mia risposta è no. Non sparirò, e di certo non confesserò un crimine che non ho commesso solo per pararvi il culo!”
A quelle parole l’uomo montò su tutte le furie. Afferrò l’oggetto che si trovava più vicino a lui, deciso a scagliarlo a terra. Una cornice che ritraeva una bella donna sorridente era ancora appoggiata sulla scrivania di Bart. L’uomo la gettò a terra con tutte le sue forze. “Tu non capisci, ci rovinerai!” disse mentre le schegge di vetro si spargevano sul tappeto, creando un pittoresco fuoco d’artificio argentato. “Devi ragionare! Devi farlo per il bene dell’azienda!” strillava l’uomo, viola in viso e con le mani più gonfie rispetto a prima.
Chuck fissò per un attimo la fotografia della madre, scivolata fuori dalla cornice, sotto i vetri infranti. Fu come se uno di quei vetri si fosse infilato nelle sue pupille e fosse penetrato sino al baricentro del cervello. Con la vista annebbiata e i pensieri confusi, Chuck uscì dall’ufficio di suo padre sbattendo la porta.
 
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Gloredhel
Posted on 5/10/2009, 13:49




noooo povero chuck ç_ç lo hanno trattato malissimo!!
 
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marci#
Posted on 22/10/2009, 01:42




30. Bugie
“Ti vorrò per sempre”

“Non ti lascerò mai”

“Ti amerò per tutta la vita, e forse di più”


Bugie.
Bugie, fredde in una notte di gennaio, scivolano via e si perdono come cubetti di ghiaccio sciolti al sole. Bugie.

“Ho saputo quello che ti è successo, Dan, volevo vedere come stavi”
Georgina si avvinghiò stretta al corpo di Dan, che ancora immobile la fissava attonito.
Aleggiava un silenzio quasi innaturale, dopo quella frase. Dan non cercò di scansarla. Il suo profumo di ciliegie d’estate, lo stesso che aveva sentito la prima volta, quando l’aveva conosciuta come Sarah, aveva sempre avuto uno strano effetto rilassante sui suoi muscoli, che invece di essere tesi, come la situazione avrebbe voluto, si erano afflosciati su loro stessi. Non l’abbracciò e non la scansò. Respirò solamente. Regolarmente. Con più tranquillità in quell’istante di quella che aveva avuto nell’intera ultima settimana.
“Non mi sono mai scordata di te…”
Fece strusciare il naso sul suo petto, a contatto con la camicia nera un po’ spiegazzata.
Dan non aveva la minima idea di come facesse a stare in piedi. Lo sorreggeva un’indomita forza sconosciuta, che si faceva viva solo in particolari occasioni. Che si faceva viva quando quell’enigma si avvicinava a lui.
Georgina non gli si era mai mostrata fino in fondo. Aveva sentito una connessione, qualcosa che li legava, ma lei era stata bene attenta a mentire, proteggendosi, scaltra, da ogni attacco proveniente dall’esterno. Mentre lui la inseguiva, impaziente ed esausto.
Ed era sparita, velocemente come era arrivata. Mietendo qualche vittima nel suo cammino. Distruggendo la relazione che più di tutte, era sembrata per Dan avere un senso. Serena.
Eppure non riusciva ad avercela con Georgina Sparks. Osservava quel viso vitale e astuto e negava, negava con tutto se stesso, ma sapeva chiaramente e con semplice chiarezza che non sarebbe riuscito a fermarla. Che non sarebbe riuscito a fermarsi.

Georgina prese la mano destra di Dan e tirò dolcemente verso il letto.
“Che ne dici di parlare un po’? Come stai?”
Eppure Dan sapeva perfettamente che ci doveva essere qualcosa dietro. Era pur sempre Georgina, anche se, a suo dire, baciata dalle grazie del Signore.
“Georgina che cosa ci fai qui?... che cosa…” iniziò lui, senza forze, guardando il pavimento.
Lei alzo l’indice e il medio e li appoggiò delicatamente sulle sue labbra.
“Sono alla NYU, ho sentito in giro quello che è successo, e sapevo che avevi bisogno di qualcuno vicino, tutto qui” disse con l’espressione e il tono di voce più innocenti che riuscì a inventare. E Georgina era dannatamente brava, dannatamente brava in quella parte, che fosse una recita o meno.
“No, senti, l’unica cosa di cui ho bisogno adesso è stare da solo… riflettere…”
“Hai bisogno di sfogarti, Dan!... ci sono passata… quando perdi qualcuno che ami, il primo desiderio è rimanere da soli, ma la verità è che bisogna far uscire tutto il negativo e tutto ciò che ci fa star male. Butta fuori il negativo, Dan. Consegnalo a me”
Lo fece sedere e gli si sedette accanto. Stava per succedere.
Lui si stese, quasi automaticamente. Stava per succedere e non lo poteva fermare.
Lei gli si sdraiò accanto, con una foga velata dall’eccessiva lentezza. Non l’avrebbe fermata. Non voleva fermarla.
“Rilassati adesso. Se vuoi parlare sono qui”. Mente.
Sentiva il profumo dei suoi capelli innaturalmente vicino alla sua faccia. Mente?
Lei gli prese la mano, intrecciando le dita nelle sue. Lo scosse un tremito.
“Come hai fatto a entrare q…?”
“Non importa” rispose Georgina.
“Non importa” ripetè Dan, voltando la testa per guardarla. Non sarebbe riuscito lui stesso a fermarsi.
Le baciò la fronte. Senza un motivo. Gratitudine? Paura? Desiderio di sentirsi meglio. Meglio di ora, meglio che l’abisso. Tutto era meglio dell’abisso, e Georgina Sparks e il suo incantevole corpo erano molto meglio dell’abisso.
Sentì le labbra morbide sfiorargli il broncio gelato. Era come bere della cioccolata fumante.
Sempre immobile, lasciò che dopo pochi minuti dita lunghe e affusolate facessero saltare il primo bottone della camicia. Poi il secondo. Il terzo.
Un sospiro profondo.
Si voltò a guardarla.
Il quarto.
Il quinto.
Di nuovo sentì quel caldo innaturale, quello della cioccolata calda.
Il sesto.
Il settimo.
Ora la cioccolata si era rovesciata su di lui.

La costante è che tutti mentono.

Per non soffrire, per sentirsi meglio, per proteggere qualcuno, per fare le scelte giuste e anche quelle sbagliate. Mentiamo per proteggere noi e gli altri, mentiamo perché è più facile, perché mentendo si arriva senza combattere. Prendi la scorciatoia e menti. Menti senza lasciare traccia, menti lasciando tracce indelebili.

La costante è che tutti mentono.
L’unica variante è su che mentono.

Dan Humprey dormiva profondamente.
Emetteva tenui sbuffi ogni dieci o venti secondi.
Georgina Sparks era già sveglia e si era alzata, coperta dal solo lenzuolo bianco.
Tenendo con una mano il lenzuolo, si alzò dal letto e silenziosamente raggiunse la sua borsa. Il cellulare si aprì con un trillo, ma Dan non se ne accorse nemmeno.
Un messaggio di testo. “Se devo continuare questa assurdità, sarei almeno curioso di sapere il perché di tutto questo”
“Perché ne ho voglia e perché mi hanno umiliato” rispose all’istante.
Si guardò attorno. Guardò la confusione della stanza con sguardo impassibile, come se tutto filasse perfettamente nel piano. Per una volta, tutto era andato come aveva previsto.
Un altro trillo “Perché sei pazza”.
“Può darsi, comunque non è affar tuo” digitò velocemente. E aggiunse “Spero che tu abbia portato a termine la tua parte”
Era inadeguata in quella stanza. Troppo squallida per quello a cui era abituata. Gli ultimi mesi erano stati troppo squallidi, in confronto a quello a cui era abituata.
“Non proprio. Ma ho almeno capito una cosa. Hai colpito l’uomo sbagliato stasera, Zucchero. Credo che il nostro problema sia un altro, sei rimasta un po’ indietro”.
Nulla andava mai come voleva. Nulla.
“Chi?”
Tre lettere. In un attimo avrebbe saputo chi colpire.
Un brivido di freddo e di paura quando la finestra si dischiuse appena, scossa dal vento.
Immediata la risposta.
“Nate Archibald”


^^ ecco qui, che ve ne pare?
 
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Gloredhel
Posted on 22/10/2009, 12:31




nooo adesso che vuole georgina da nate?????
 
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marci#
Posted on 30/11/2009, 23:52




Mi sa tanto che Ila l'ha già letto a questo punto xD ma pubblico lo stesso^^
e domani lo metto anche sull'UA, oggi non me lo apre °-°

31. Petali danzanti
«Tu non ti rendi conto» continuava a camminare velocemente, battendo ogni metro del marciapiede con più foga, con più forza. Si stupì che i suoi passi pesanti non producessero crepe nel cemento bagnato di pioggia.
«Di cosa? Cosa?» Blair aveva ormai i capelli tutti umidi a causa delle goccioline di vapore che saturavano l’aria congelata. L’aria fredda nei polmoni le faceva bruciare terribilmente la gola, e la voce uscì più roca di quello che aveva sperato.
«Tu hai tutto, Blair! Tu hai amici! Una madre! Un padre! Qualcuno che si preoccupa se non ritorni la sera, qualcuno che vuole che tu mangi, che a natale va a prenderti i regali! Che alla mattina ti fa trovare la colazione calda perché ti vuole bene, e vuole che tu abbia le forze per la giornata! E questo ti ha fatto diventare enormemente viziata e snob, ma non puoi negare! Non puoi, Blair».
Voleva in qualche modo ferirla, sentiva che lei sarebbe stata per sempre l’unica che pugnalata a morte, con la piaga sporca e sanguinante, sarebbe comunque tornata barcollando da lui. Crudele o no, le parola stavano uscendo e non poteva fermarle.
«Ed è sbagliato? È in qualche modo sbagliato, Chuck? Questo significa essere un essere umano, mi sembra! Compresi pregi e difetti! E comunque non capisco dove vuoi arrivare, tu…»
«Io ho solo te! Io ho te» fece una pausa. Blair si sentiva dentro all’ultimo film d’amore uscito al cinema. Eppure le parole uscivano feroci dalla bocca di Chuck. Non c’era tenerezza in quelle parole, eppure sembrano sia a lei che a lui ogni secondo più vere. Non c’era la piacevolezza o soavità, c’era la verità della questione.
Pareva ci fosse tutto in quelle tre parole. La stessa forza, la stessa completezza di quelle altre tre, e forse non ci sarebbe stato bisogno di andare oltre. Eppure Chuck era sempre stato il ragazzo che amava sorprenderla. E così continuò.
«Tu sei la mia migliore amica, la mia ragazza, mia madre e mio padre, tu vuoi che io mangi, ti preoccupi che qualcuno mi porti la colazione, mi fai i regali a natale e tutto il resto. Tu hai una schiera di persone, e se qualcuno per malaugurata ipotesi non ci fosse più, ne avresti molte altre. Moltissime. E verrebbero da te, tu piangeresti sulla loro spalla e ti sentiresti meglio. Ma io?
Blair, tu non hai idea di quello che ho provato vedendoti stesa a terra, con tutto quel sangue che usciva dalla tua tempia, che ti bagnava i capelli. Tu non sai come mi sono sentito quando ho dovuto attraversare quella strada… camminavo nella speranza che fossi viva, dovevo avere la certezza che fossi viva. Non potevo respirare, camminare, parlare. Ero annientato. Se tu non ci fossi più… io…».
Sconsolato e irato, irato di una rabbia che gli mangiava le viscere poco a poco, Chuck aprì le braccia e le fece ricadere sui fianchi. Sentiva incessante la morte intorno a lui. E cominciava a farsi strada la paura. La madre, il padre, ora Lily e per un attimo anche Blair. L’aveva creduta morta, in quell’istante. E aveva camminato verso di lei con la consapevolezza che c’era la possibilità che lei non sgranasse gli occhi, che quel marrone cioccolata non scrutasse più, mai più, le righe del suo volto. Nessun altro avrebbe mai più saputo leggere tra quelle righe quello che ci leggeva Blair. Lei era come una traduttrice particolarmente promettente.
Ora la bocca di Blair era semiaperta, colpita da quelle parole come da tanti schiaffi. Eppure non sentiva dolore. Come avrebbe potuto? Si stava aprendo a lei. Più fragile che mai, quel ragazzo stava ammettendo la sua dipendenza, i suoi bisogni, la sua totale appartenenza a lei.
Era talmente fondante il sentimento che li univa, che sapere di poterne essere privato lo sbriciolava. Aveva una grandissima voglia di fargli sentire che provava in ogni fibra di essere la stessa, la medesima cosa.
Solo l’orgoglio la fece desistere. O forse il desiderio di conservare quel momento così incredibilmente perfetto.

“Dire che ora non sei solo perché ci sono io qui con te sarebbe talmente banale che te lo risparmio, Bass” disse, avvicinandosi con cautela.
“Però…”
“Attenta, hai detto che è troppo banale”
“Mi tratterrò allora” Blair lo guardava guardinga. Un miscuglio di emozioni le deformavano gradevolmente il viso di porcellana. Tutt’un tratto particolarmente seria disse "Ho sempre una paura tremenda di quello che stai per dirmi" stavano a qualche metro di distanza, divisi da uno spazio invisibile. Chuck la guardava senza capire.
"Ogni volta che la tua espressione cambia, che non mi guardi più sorridendo... mi chiedo che succederebbe" si mordeva un labbro, incurante del rossetto. Era incurante del rossetto solo quando era particolarmente agitata, o triste. Chuck lo sapeva, conosceva ogni battito del suo cuore infranto.
"Che succederebbe quando?" se solo avesse potuto toccarla, in quel momento. Il cuore doveva martellarle nel petto, fare troppo male.
"Il giorno in cui per una cosa o per l’altra decidessi di lasciarmi" disse scandendo incredibilmente bene le parole.
Le foglie ingiallite dall'autunno girovagavano danzando attorno a loro. La musica del vento le univa a petali sfocati e le guidava in strane giravolte e capriole aeree. Il fischio del treno in lontananza, un clacson, una breve pausa.
"Dire che non ti lascerò mai è talmente banale che te lo risparmio, Waldorf"
Chuck Bass non era il tipo di ragazzo che dice "ti amo" alla fidanzata. Chuck Bass non era il tipo di ragazzo che porta i fiori e i cioccolatini, non era il tipo di ragazzo che alle otto avrebbe portato la sua ragazza al cinema. Chuck Bass amava Blair Waldorf, perchè si, amava ogni piccolo sospiro e fremito della ragazza infreddolita di fronte a lui, perchè a Blair Waldorf piaceva Chuck Bass esattamente per come lui era. Non aveva mai preteso di cambiarlo, anche se per lei, lui era cambiato.
Per lui questo valeva più di tutto.
Blair rise alla frase di Chuck. Mostrò i denti perfettamente bianchi e le si illuminarono un poco gli occhi.
"Lo apprezzo, Chuck. Davvero"
La paura era tornata a dormire. Accucciata su se stessa, sconfitta da quelle parole, da quello sguardo che ora Chuck gli rivolgeva.
Lui le tese la mano. La ragazza la afferrò con dolcezza.
"Grazie, Blair. Te l'ho mai detto?" alzò lievemente la mano affusolata verso la sua bocca, baciandola con il sentimento che avrebbe messo se fosse stata l’ultima volta.
"Non troppo spesso, a dire il vero" rifugiò la testa nel suo petto.
Presero la via non troppo affollata che li avrebbe condotti verso casa. Il vociare della gente attorno a loro attutiva i pensieri.
Senza più rimorsi, Chuck prese a spiegare a Blair esattamente i fatti avvenuti nell'ufficio del padre. Blair ascoltava attentamente, come rapita. Lo consolava, ma senza provare pena per lui; sapeva quando lasciare momenti di pausa, e quando invece dire qualcosa, qualsiasi cosa. Concentrata, stava amando.
E si scordò la paura, l'esitazione e lo sconforto.
 
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65 replies since 25/8/2009, 22:28   859 views
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