Whatever you're going through I wanna be there for you

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marci#
Posted on 25/8/2009, 22:28




Whatever you're going through I wanna be there for you


Dunque. Questa è una fanfic Chair. E una fanfic Serenate.
Perchè io sono Chair e Serenate, convinta anche<3
C'è spazio anche per gli altri, ma mi concentrerò prevalentemente su di loro XD

I primi due capitoli sono un prologo, con quello che è successo dall'ILY moment [visto secondo me] in poi.
Ho già scritto un sacco di capitoli, ma ne pubblico un po' alla volta perchè devo revisionare XD Comunque vi lascio la lista, sperando di incuriosirvi un pochetto almeno!
Aggiorno man mano...

1. Un sospiro – prologo part 1
2. Quella volta – prologo part 2
3. L’ennesimo sorriso
4. Flash
5. La lacrima nello scrigno
6. Aiuto
7. La guerra fredda
8. Legno bagnato e viottoli pieni di sogni
9. Sguardo giusto ; Parole giuste
10. Quel ciuffo di capelli particolarmente biondo
11. I desideri

12. Le undici in punto
13. Sushi e tempura ; ricordi e incontri
14. Delirio
15. Breaking News
16. Ho dimenticato di ricordarmi di dimenticare [I forgot to remember to forget]
17. Qualcosa di indispensabile
18.
19. Stella cadente
20. Previously
21. Favole, la sostanza dei sogni
22. Da qui è tutto: vi restituisco la linea
23. Steso ; freddo ; immobile
24. Sympathy for the devil
25. It’s a romantic thing

Pubblico i primi tre capitoli!
Un sospiro prologo – part 1
Chuck ; Blair
Le si avvicinò piano, con cautela.
Si mordeva il labbro inferiore, come faceva sempre quando era agitata. Qualcosa sembrava dare testate alla bocca del suo stomaco. “Qualche migliaia di farfalle inferocite” non potè fare a meno di pensare. Non importava quante volte se ne fosse andato, non importava quante volte le avesse sbattuto in faccia che di lei non gliene importava niente. La conoscenza che sentiva di avere di quegli occhi era qualcosa che andava oltre. Oltre al rumore delle gocce di pioggia che si schiantavano malvagie contro i vetri dei grattacieli, oltre il rumore delle auto frenetiche nel centro di Manhattan, oltre alle parole che uscivano come un sibilo dalla sottile fessura della sua bocca.
Non riusciva a trattenere le lacrime, non questa volta, non ancora una volta. Non avrebbe fatto un’altra volta la figura dell’emotiva, le sue lacrime si sarebbero confuse sotto i palloncini grondi che scendevano dalle nubi nere.
Non sembravano le 5 del pomeriggio. Si sarebbe detta notte inoltrata.
Ma i fischi della metro e il caos urbano non lasciavano spazio a dubbi. New York è una città che vive di notte, ma chi vi abita ne conosce perfettamente profumi e odori. E la notte di New York ha un gusto inconfondibile. Di certo non confondibile con quello che si respira alle 5 del pomeriggio.

Un sospiro.
Un altro passo verso di lei. Il ritmo dei suoi battiti cardiaci andava di pari passo con quello dei suoi passi. Il che ne avrebbe decretato sicuramente la morte se non avesse reso il tutto un po’ più rapido.
Erano tre stupidissime parole. Tre parole, otto lettere. E sarebbe stata sua. Ricordava perfettamente il suo viso, le sue labbra strette, il corpo in tensione, stretto nell’abito bianco e impeccabile, mentre gli dava quel maledetto ultimatum. E si ricordava i suoi occhi pieni di speranza e poi di viva delusione. Non si era bloccato per il conte, no affatto. Il punto è che non sapeva perché si era bloccato, non sapeva perché ogni nervo del suo corpo era stato congelato davanti a una richiesta così semplice e così terribilmente spaventosa. Vedeva il suo labbro tremare e in qualche punto, tingersi di viola purpureo. Avrebbe fato qualunque cosa per avere la forza di avvicinarsi a lei, spostarle quella ciocca ribelle dalla fronte e portarla al caldo, al riparo, al sicuro.
Ma la pioggia continuava a cadere, ancora, ancora e ancora. Ogni tanto un cupo fragore in lontananza, forse un tuono, chissà.

Un sospiro.
Pensò a tutte le volte che lei c’era stata. Tutte le volte che semplicemente era stata lì, senza volere, senza pretendere. Nessun interesse a parte che lui. La prima persona che aveva creduto in lui, che gli aveva dato un’opportunità.
E per un secondo, i loro pensieri ballarono all’unisono, sulle note della stessa canzone. Quel pensiero così strano, malvagio, ributtante un tempo, ora pareva l’unica cosa che avesse un minimo di senso. “Dare un senso alla vita stando insieme”, la consapevolezza che nessuno li avrebbe mai capiti fino in fondo, la gente che si ferma alla prima fermata, che legge solo la trama invece del libro intero. Nessuno avrebbe davvero capito cosa c’era in fondo alle loro anime, dove fossero le loro anime. Quello avrebbero fatto l’uno per l’altra.
Sarebbe stato molto poetico se in quel momento fosse spuntato il sole o se una farfalla avesse sorvolato le loro feste, ma siamo a Manhattan, diamine. Non fece altro che continuare a diluviare.

Un sospiro.
Ancora un altro passo. Ancora. Ancora.
Si fermò a un passo, come davanti a una statua dalla meravigliosa fattura, che hai paura di rovinare o addirittura rompere.
La mano sulla guancia, ancora una volta.
Un sospiro.
Le sue mani erano fredde e bagnate. Ma le labbra erano come se le ricordava, morbide, esperte, appassionate. L’elemento dolcezza, quello non solo non se lo ricordava, ma non avrebbe mai pensato avrebbe mai potuto assaporare da lui. Ora bisogna ammettere che fu solamente una piacevole scoperta.

Il sospiro più grande che avesse mai fatto. Poi un sibilo “I love you”. Si confuse tra la pioggia, ma lei non poteva averlo confuso.
L’espressione tesa, quasi imbronciata, ma per una volta, sincera. Le labbra appena dischiuse
“I love you” ripeté in modo ancora più elegante.
Il suo viso così pallido e deluso si colorò di un rosa antico, tenue, ma acceso.
“Say it twice”
“Non ti ci abituare, Waldorf”
Mentre la pioggia continuava a battere sui loro visi, ma non sulle loro labbra.

Questo l'avevo già pubblicato come One Shot, e ora mi è diventato prologo XD

Quella volta prologo – part 2
Blair ; Chuck

“Non mi ci dovrei abituare?!”
Ancora un bacio.
Più appassionato, più profondo. Uno sul collo, i suoi capelli tra le mani. Poi ferma, con gli occhi seri lo fissò “Seriously, say it twice” ancora una volta rigida, non la stessa rigidezza della prima volta, ma abbastanza da fargliela ricordare.
Stavolta il suo viso si colorò di sorriso “right. Se proprio ci tieni… I love you, I love you…”
“se proprio ci tengo?!” e gli mollò un pugno sulla spalla. Era davvero troppo tempo che non gli tirava un bel pugno. Aveva nostalgia di quei pugni, aveva nostalgia dei cazzotti, degli spintoni, perfino dei calci con i tacchi. Sapere all’improvviso di poter riavere di nuovo quei momenti gli fece scorrere un brivido lungo la schiena. Ma forse era solo la pioggia, che ogni minuto si faceva più intensa e pressante.
Ormai ogni fibra del loro corpo era inzuppata. Il freddo rendeva insensibile ogni centimetro di pelle che l’aria riusciva a pungere.
B sentì la mano gelida scorrerle lungo la linea sinuosa della spalla, fino a stringerle con eleganza la mano bagnata. La tirò ancora un po’ vicino a sé. Sempre un po’ di più di prima.
Con la mano libera C aprì la portiera della limo, che restituì un cigolio sordo. Non aveva paura di affondare nell’enorme lago sotto di lei. Né in quello dell’asfalto, né in quello dell’abisso. La paura e l’eccitazione, la gioia e l’incredulità cercavano di farsi spazio, salendo mano a mano ogni costola, volevano liberarsi, districare i fili confusi che non riuscivano a costruire un sorriso sul suo volto. Quello che avrebbe fatto, se non fosse stato tutto così meravigliosamente improvviso, sarebbe un enorme, ebete, sorriso. Ma non era possibile in quel momento. L’agitazione e insieme la sicurezza della prima volta, quella prima volta che le era piaciuta, e che mai, mai nessuno dei due aveva mai scordato, la facevano da padrone, infettavano ogni centimetro del suo essere, sopraffacendo anche le più comuni espressioni facciali.
L’acqua iniziò a gocciolare dal riverbero del cappotto che C aveva posato sulle sue spalle per farla asciugare almeno un po’. Plinc. Plic.
Scandiva il tempo. Plic. Plic. Accartocciato, ora immobile. Solo il rumore dei loro respiri, nemmeno il battito del cuore aveva il coraggio di interrompere quel momento.
L’autista iniziò a chiedersi che cosa stesse succedendo là dietro. Non che ci volesse molta immaginazione per averne la certezza, praticamente, assoluta. D’altronde, mister Chuck amava ripetere che “il retro della limo è sacro”. Che cosa lo avesse fatto diventare tale, questa era una cosa da non chiedersi, una fantasia proibita ai più, sicuramente a lui. Aveva visto le più belle ragazze di New York salire su quella limo, ma con miss B le cose divenivano sempre diverse. Mister C aveva iniziato ad appellare sacra la sua limo dopo quella volta. La notte al Victrola.
La notte che aveva cambiato il corso della storia. Una notte epica.

Di certo entrambi ricordavano con vivida chiarezza quella volta.
La notte in cui avevano letteralmente mandato affanculo il mondo e si erano lasciati andare.
La prima volta che si era spogliata per lui. La notte in cui, ancora una volta, aveva visto un’altra faccia di B. Aveva già visto la ragazzina delusa, aveva visto la vincitrice orgogliosa. Aveva visto l’amica fedele e la fidanzata ideale. Aveva osservato da vicino la più timida alchimia, la più vivida comprensione e la cattiva complicità. Lei, lei che era stata l’unica a essere, anche solo per un attimo, orgogliosa di lui. Lei che gli teneva i capelli e gli ficcava due dita in gola se la sbornia era troppo pesante.
N guardava S. Osservava i suoi bei capelli lisci e ammirava la sua inclinazione all’allegria e alla spensieratezza. Non guardava B come guardava S. Non era mai stato capace e mai lo sarebbe stato. Per questo quella volta gli aveva detto “You don’t belog with N. Never have. Never will”
E l’aveva baciata, con trasporto, con passione, con tenerezza, anche se probabilmente lei non l’aveva colta. Proprio come adesso, la baciava e con quei baci, cercava di dirle tutto quello che era incapace, inadatto a dire a voce. Perché …… come fai a far capire a qualcuno che lo ami?
Non puoi semplicemente andare lì e dire “I love you”. Sbattuto sui denti, pensando a quale di quelle parole sia veramente uscita dalla tua bocca. Non è vero, non è giusto, non è elegante, non è sincero, non è da Chuck Bass.
B voleva quello, e quello le aveva dato, perché non riusciva più a stare senza respirare il profumo dei suoi capelli e scrutare il profondo scuro dei suoi occhi. Ma già tante volte le aveva dimostrato che la amava. Quasi tante volte quante l’aveva ferita e calpestata.
Perché la vita fa schifo, e tutto questo è sbagliato, e la gente soffre. Le persone muoiono, e mentono e feriscono.
Ma su quel sedile, quella sera, proprio come quella volta, c’erano solo Chuck Bass e Blair Waldorf. C’erano solo le loro pelli che diventano un tutt’uno.
L’unico spettatore pagante resta NYC. Le sue luci osservano lo spallino che si abbassa. Il grattacielo grigio mare vede i palmi aperti delle mani che si chiudono delicatamente sulla schiena e sulla spalla.
La Città vede due anime che, finalmente, hanno ritrovato il loro pezzo mancante.


Qui ho reso Serena protagonista. C’è in ballo la cena di famiglia e Chuck. E Nate, e Dan, maybe, XD

3. L’ennesimo sorriso
Serena

Serena sorseggiò ancora una volta il suo cocktail, visibilmente annoiata.
“Um um” rispose per l’ennesima volta a chissà quale altra frase che la madre le stava rivolgendo. Usciva a cena con Rufus, quella sera. Sarebbe stato molto più interessante se i patti fossero rimasti quelli di una volta, ma essere la vedova più ricca di New York City aveva i suoi svantaggi. Quello a cui Serena sarebbe stata felicissima di assistere era, nei piani, una cena di famiglia. Lily, Rufus, Dan, Jenny, Eric, Chuck e lei. Magari avrebbe fatto a gara con Chuck per chi per primo fosse riuscito ad afferrare il telefono e invitare Blair. Non è un’occasione a cui la sua B avrebbe voluto mancare, anche se magari questa volta sarebbe stata più nervosa del normale. Comprensibile, e sorrise.
Sarebbe stata un’occasione interessante, certo, ai limiti del ridicolo, ma avrebbe dato la prova del nove. E sarebbe stato qualcosa che valeva la pena raccontare, perlomeno.
Serena fissò ancora una volta la medesima riga della rivista, sospettava di averla aperta al contrario. Finalmente si voltò a guardare la madre.
In alto, in basso, un soffio ancora più in alto, la lingua contratta. Stava sicuramente proliferando qualche ingegnosa scusa sui fondi fiduciari e sul consiglio di amministrazione. Ecchisenefrega.
La sciarpa attorno al collo doveva essere così stretta che si chiese come la madre riuscisse a dire così tante parole allo stesso tempo.
Il grande orologio meccanico scandiva i secondi, tic tac, tic tic, tac.
Serena arricciò le labbra in un mezzo sorriso e rivolse il volto sereno e accondiscendente alla madre. “Sicuro, mamma” disse convinta.
Lily la fissò negli occhi per un secondo, preoccupata per qualcosa, poi si sistemò la collana di perle e le mandò un bacio. “Tornerò domani notte… al massimo, promessp”
“Donani notte?” Serena si rese conto di essersi persa un pezzo fondamentale di quel chilometrico discorso e una ruga si materializzò automaticamente sulla sua fronte.
Lily si morse il labbro e Serena seppe che non era un buon segno. Si accucciò ancora di più sul divano, sentiva la pelle fresca a contatto con le gambe, ma continuava a sorridere.
“Ok. Rufus ti spiegherà tutto in molto meno tempo, ti voglio bene, stai attenta a tuo fratello e…” salvata dal telefono, Serena baciò la madre sulla guancia e si precipitò fuori dalla stanza. L’enorme cucina aveva qualcosa di accogliente dopo che Rufus era entrato in scena, aveva liquidato la cuoca e ne aveva fatto il suo regno. Aveva appeso delle presine colorate al muro e qualche piatto era ancora sul tavolo. Sulla tavola, normalmente impeccabile, era stata rovesciata della cioccolato in polvere nel punto in cui aveva fatto colazione, e del sale nel punto in cui aveva preparato il pranzo di Jenny. Era un gran casinista, ma questo la fece sorridere. Ancora. Il telefono era appeso al muro. Era appiccicoso e emanavo odore di limone. Ci doveva essere una torta nascosta in uno dei tre forni.
“Dan! sono io, dovrei parlare con Rufus. è per mia mamma”
Intrattenersi in chiacchiere con Dan era fin troppo facile. Mentre aspettava le ore che ci volevano perché Rufus si decidesse a prendere il telefono, Dan le raccontò del suo nuovo pezzo, di quel caffè alle meringhe che aveva sentito in mattinata, e che Vanessa era tornata dall’Europa con due zaini invece di uno, e che aveva un regalo anche per lei.
Mentre rigirava tra le mani il filo della cornetta, si visualizzò Dan. Non troppo bello, non troppo brutto, un tipo simpatico, intelligente, traditore. Pensò alla sua mano calda che accarezzava la sua pelle pallida, pensò al gelo del suo cervello mentre faceva quella foto. Ma poi la spiaggia, la neve, quell’ascensore, quel ballo…
“Serena?” una lunga ciocca di capelli biondi e bagnati le ricadeva davanti al viso, la scostò con delicatezza e si schiarì voce e cervello, stavolta doveva ascoltare.
Rufus, più praticamente, le spiegò che lui e Lily sarebbero stati a un ciclo di conferenze a Washington e che lei avrebbe dovuto farle l’enorme piacere di andare a prendere Eric alla stazione. il suo Eric era stato a casa di Johnatan, per due settimane. Le mancava il suo saggio saputello, e non vedeva l’ora di rivederlo. Si ritrovò ancora una volta a sorridere di gusto.
Tagliò due fette di torta al limone e si diresse in fretta verso camera di Chuck, per comunicargli le ultime notizie e per fargli presente che la cena di famiglia era, per ora, saltata.
I soliti due tocchi alla porta di mogano nero, i soliti tre secondi di attesa e spalancò con grazia la porta. Il fatto di vedere Chuck davanti allo specchio che si provava l’ennesima cravatta, la fece ridere ancora. “Eheh! Prova generale?”
Chuck osservò un attimo la sua tenuta sfatta da piscina e le sorrise di rimando.
I capelli erano ancora bagnati e gocciolavano sul pavimento di legno. I pantaloncini bianchi erano tutti stropicciati e la camicia abbottonata male. Non molto da Serena Van Der Woodsen, a dire il vero.
“Dimmi che questa cena e annullata e posso pensare di accontentare una delle tue richieste”
“Parli delle lista del buon fratello? Credo che si potrebbe iniziare dal punto tre, è il più urgente al momento” con aria tra la sfida e il divertito.
“Dio esiste” sussurrò Chuck e lanciò la cravatta blu che si stava provando in mezzo al mucchio che si era creato sul pavimento. Sul comodino un libro e una cornice argentata. Sul letto, oltre i vestiti il cellulare e la coperta blu velluto che Serena avrebbe tanto voluto rubare uno di quei giorni.
Con un rado sorriso, Chuck si accasciò sul letto, le braccia allargate a coprire l’intera superficie del letto. “Spiega a cosa devo questa fortuna”
Vedere il nervosismo, e poi il sollievo, nelle profonde fessure che Chuck aveva al posto degli occhi al pensiero di quella cena di famiglia annullata la fece ridere per l’ennesima volta quel pomeriggio afoso.
Fu l’ultima volta, quel giorno.

Questo è solo l'inizio ;D
Ora corro a leggere la fanfic di Laura, fatemi sapere se volete che continui a postare!


Edited by marci# - 29/8/2009, 23:16
 
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Gloredhel
Posted on 25/8/2009, 22:35




siiiii che devi continuare a postare *____* voglio leggere la parte su s e n XDDDD

scrivi benissimo!!
 
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marci#
Posted on 25/8/2009, 22:50




Ma grazie mille!! ♥
gentilissima, domani pubblico altri capitoli allora *-*
I prossimi due sono abbastanza Serenate, direi !
 
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Gloredhel
Posted on 26/8/2009, 10:26




me esulta *____*
 
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marci#
Posted on 26/8/2009, 22:30




Oookei.
Ci provo.
Mi piacerebbe veramente molto sapere che ne pensate *-*

4. Flash
Serena

Mentre passeggiava a passo svelto per le vie di New York, verso la stazione centrale, Serena si sentiva a posto con se stessa. Un raro momento di consapevolezza.
La sua vita aveva preso quella piega morbida, sinuosa, tenue, quella che aveva sempre voluto per se stessa. La dolce brezza di quel giorno così fresco di un giugno appena all’inizio le cospargeva addosso una coltre di sale fino. Ma invece che far bruciare le ferite aperte, le stava rimarginando. Sentiva lo spiffero dell’aria intrisa a quel poco che bastava di polvere e foglie accarezzarle dolcemente i capelli umidi.
Non si guardava nemmeno attorno quel giorno, sebbene fosse una delle cose che preferiva. Non fece caso all’uomo inseguito dalla polizia, non fece caso al bambino che guardava volare a bassa quoto un aeroplano rosso fiammante. Era concentrata sul suo respiro regolare.
Arrivare alla stazione fu quasi un soffio, come quando ti fanno notare che l’annata è passata in un secondo. Che gran puttanata. Se pensi all’esatto momento che era un anno fa, ti sembreranno passati secoli. E comunque non si capisce perché la gente deve dire sempre le stesse solite banalità. Le solite frasi di circostanza. Quando aveva quattordici, forse quindici anni, Serena era costretta a partecipare alle feste che la madre organizzava nella grande casa del suo terzo marito. Era una casa elegante, un enorme appartamento tra la nona e la decima, con un balcone agghindato di ortensie bianche. Si respirava pulito.
Erano sempre invitate delle signore che sembravano essere lì solamente per chiedere a lei che college avrebbe scelto, che scandalo che non ci sono più le mezze stagioni, vero? Ma che media hai a scuola, ma per caso hai un fidanzatino? Ma mentre Blair si prodigava in grandi discorsi, lei fuggiva via. Era tutto quello da cui sarebbe fuggita. Per dimenticare, per non volere essere come erano quelle. Non desiderava un’altra vita, non era infelice, solamente non vedeva il divertimento nel ripetere ogni santo giorno le stesse sillabe.
Quando le domande iniziavano a ripetersi nello stesso modo, era sicuramente perché quelle infiocchettate signore con la gonna stirata ad arte avevano bevuto troppi martini. A tutto c’era un limite. Lei e Nate a quel punto sgattaiolavano sempre al piano di sopra, nelle camere da letto. Ce n’era una antica, con gli specchi di bronzo e le statue degli angeli con gli occhi spalancati. Era assurdo come fosse vecchia. Le altre porte avevano l’apertura automatica, mentre quella era munita di chiavistello.
Come un flash. Il vestito bianco. I capelli tra le mani. Sapone di Marsiglia. Le labbra di cioccolata. Il primo bacio. Dolce e amaro, impacciato e sicuro.
Si chiese come avesse potuto dimenticare quel momento. Lo stomaco contratto, il senso di colpa, quegli occhi profondi e il sospetto. Magari aveva rimosso per colpa della prova di forza di quel giorno, che consisteva nel bere tutti i bicchieri abbandonati che si riuscivano a trovare. Anche se bisogna ammettere che Chuck rimane il campione incontrastato, Serena aveva vinto, quella volta.
Sopraffatta dal fiume impetuoso dei ricordi quasi non si accorse di essere già nella piazza centrale della stazione. Eric sarebbe arrivato a momenti, era questione di qualche minuto. Girò su se stessa un paio di volte, guardandosi attorno. C’era l’emozione nella stazione. Chi parte e lascia il cuore, chi resta e il cuore ce l’ha spezzato. Una valanga di anime di ammucchiavano in quello spazio, ognuna con i suoi desideri, i suoi ricordi e le sue aspirazioni, in un attimo, il paradiso e l’inferno.


5. La lacrima nello scrigno
Serena

Nate stava baciando con foga Vanessa Abrams. La baciava sulla bocca, fresco, spigliato, come sapeva fare solo lui. Le afferrò i fianchi fiorati e le fece fare una mezza giravolta. Non era una coppia tanto diversa dalle altre cento che riempivano quello spazio di mondo, ma due occhi li stavano osservando. Due occhi chiari, incorniciati da un volto roseo e da lunghi capelli color fieno.
Gli occhi fissavano la coppia senza perdersi un istante, con un interesse che qualcuno avrebbe definito morboso. Colui che le aveva regalato il primo bacio, aveva venduto le sue labbra al sapor di cioccolato alla prima di passaggio. E non solo a lei.
Gossip Girl aveva definito Nate “whore” e tutti quanti facendo mente locale sull’ultimo anno trascorso dal ragazzo non possono che inchinarsi davanti alla maestria di quella blogger nella scelta dei vocaboli. A partire dall’assurdità con Jenny, passando per la delusione di Vanessa per arrivare a quella sottospecie di malata relazione con Blair.
Ripensando a quanto lei sapeva, e a quanto sapeva che Nate sapeva su Blair e Chuck, per la prima volta nella sua vita provò disprezzo e pena per Nate. Il ragazzo dagli occhi chiari stava letteralmente buttando nel cesso la sua esistenza.
Scacciati questi pensieri, gli occhi chiari ricominciarono a fissare i due serpenti, che si attorcigliavano l’uno sull’altro con sempre maggior passione. Ma ogni secondo in più che li fissava, che fissava Nate, le veniva in mente che avrebbe voluto chiedergli come era andato quel mese in Europa, che cosa aveva fatto, che cosa aveva visto. La voce di Nate che racconta è qualcosa di magnetico. Non un magnetico alla Chuck, più… coinvolgente. Avrebbero ricordato l’estate passata, ci avrebbero riso su, poi avrebbero fatto dei progetti per…
“Serena!” per un momento, solo per un momento, la speranza. Poi Eric.
Serena lo abbracciò con un po’ troppo entusiasmo. Quella sottospecie di aquila reale aveva già individuato tempi e luoghi del problema.
“Ma non era fissata con Dan una volta?” le sussurrò in un orecchio mentre si avvicinavano all’uscita.
Serena scosse la testa e inarcò le labbra. “Ora mi sembra molto più fissata con Nate”
“Forse ha un problema con te”
Lo guardò tra il confuso e il disgustato.
“Beh, sono entrambi tuoi ex”
Per quella frase, Eric si guadagnò un pugno sulla spalla.
“Comunque continua a guardarti come ti guardava un tempo, sai lo sguardo trasognato?”
Voleva proprio farsi picchiare, allora. Erano fermi davanti all’uscita, le porte erano aperte, ma non c’era ancora abbastanza spazio per farsi strada. “E poi comunque non stava guardando me, era più impegnato a palpeggiare Vanessa”
“L’importante è crederci” e le indicò un punto aldilà delle loro teste, dietro di loro, sul balcone al piano di sopra. Nate la stava fissando.
Gli occhi da babbeo, li chiamava Chuck. Era da tanto tempo che non pensava agli occhi da babbeo. L’ultima volta che li aveva nominati si era presa la scarpa verde mare col tacco di B in testa. C’era ancora una piccola e quasi invisibile cicatrice.
Serena non potè far altro che alzare timidamente la mano, in segno di saluto. Nate le sorrise, ma lei no. Lei si girò dalla parte opposta, prese Eric per un braccio e lo trascinò fuori dalla porta, spintonando le persone che cercavano di entrare.
Tanto tempo fa, aveva promesso che non avrebbe più pianto per Nate Archibald. Quella volta non c’era nemmeno niente da piangere. In quell’anno non erano stati esattamente quel che si dice grandi amici.
Nessuno vide quella lacrima spingere per uscire dall’occhio sinistro. Nemmeno Serena se ne rese completamente conto. La prese, la chiuse in uno dei suoi scrigni e la sigillò in quella stanza, quella dove stava il suo primo bacio, dove stavano i giochi con l’acqua, dove stava l’abbraccio di conforto quando ne aveva bisogno, la rinchiuse dove stavano quasi tutti quei momenti che ti fanno sentire come un uomo alla stazione. Diviso tra il paradiso e l’inferno.
 
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Kassandra Black
Posted on 26/8/2009, 22:45




marci per ora ho letto solo il prologo e già mi piace un sacco, non appena mi passa il mal di testa mi metto in pari :))
 
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marci#
Posted on 26/8/2009, 23:13




XD ok, mi farà molto piacere se la leggerai! ♥
 
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Gloredhel
Posted on 27/8/2009, 10:30




ahhhhhhh i nuovi capitoli *____* tu sei il mio mito lo sai????

e ahahah "gli occhi da babbeo" XDDD

il primo bacio *____*
 
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marci#
Posted on 27/8/2009, 23:07




*me arrossisce*
Grazieee<3 ma io son fissata con i flashback, vorrei che ci riempissero, sai vedere Nate cotto di Serena? *_________*

Vado avanti, spero vi piacciano!

6. Aiuto
Blair ; Chuck ; Serena

Baciò di nuovo le sue orecchie morbide. Sentiva caldo.
I capelli le cadevano disordinati sul viso. Lunghi e ondulati, seta sulle sue dita.
La piacevole sensazione di malessere allo stomaco era diventata la compagna preferita per quei momenti. Quando entrava nella sua stanza, si accomodava sulla coperta di velluto blu e aspettava, trepidante, che le sue labbra ancora una volta sfiorassero il suo volto, per farle capire che non aspettavano altro. Riusciva a farla sentire importante, malatamente amata.
I suoi baci non erano mai uguali, pretenziosi. Ognuno aveva un sapore suo. Un gusto particolare. Quando era con Chuck, Blair si dimenticava completamente chi ella fosse. Era sempre stato così, quando pensava di aver capito qualcosa, quando il senso di potere e controllo si impadroniva di lei, arrivava Chuck. Lui spostava avanti le labbra, soffiava, e il castello di certezze inevitabilmente crollava giù, un mattoncino dopo l’altro. E la sorprendeva. Sempre. La sorprendeva con parole che non avrebbe mai pensato di sentire, mettendola davanti a fatti che lei mai avrebbe tirato fuori da sola. A quattordici anni Chuck le aveva detto che Nate era innamorato di Serena, non di lei. A quindici l’aveva messa davanti al fatto che non poteva continuare a distruggersi la vita per qualcosa di cui non aveva colpa. A sedici lui le aveva comprato quel muffin ai mirtilli, quando la sua migliore amica l’aveva abbandonata a se stessa. A diciassette anni l’aveva fatta innamorare di sé, nel retro di quella limo. A diciotto anni le aveva confessato che l’amava. “It’s about time, Bass” si ritrovò a pensare mentre gli accarezzava il viso.

Quasi cadde dal letto quando la portà vibrò sotto i pesi del bussare.
Chuck le afferrò la schiena con le due mani, a mò di caschè. I capelli di seta bruna erano così lunghi da toccare il legno del pavimento. B rise sottovoce, spalancò le braccia per poi richiuderle attorno al collo di Chuck. Sospinse tutto il peso del corpo sul suo petto. Caddero entrambi sdraiati sul materasso, uno sopra all’altro. Simultaneamente avvicinarono le labbra dell’uno a quelle dell’altro. Un tuffo nel mare. Profondo, accecante, libero.
“knok, knok” e si schiarì la voce.
Appena il tempo per Chuck di abbottonare la camicia e B di infilarsi il primo cerchietto che pescò sul pavimento e Serena entrò scocciata nella stanza.
La sua solita eleganza, la sua solita sinuosità. Come sempre, arrivò seguita dai suoi capelli di un biondo danzante. Il viso imbronciato, le sopracciglia sollevate lievemente in un’espressione di disappunto. Chuck era in piedi, con l’espressione lievemente soddisfatta, tutto il peso appoggiato sulla spalla. Blair invece, si stava ancora sistemando, ma fece spazio a Serena sul letto.
Accarezzando con le mani affusolate la coperta, B fece segno a S di sedersi. Non se lo fece certo dire due volte, e si butto a peso morto sullo spazio ricavato sul letto.
Non le importava di aver interrotto i due ragazzi. Le sembrava che tutto stesse per crollare. Aveva visto Nate con Vanessa e aveva realizzato di essere sola. Vedeva Blair e Chuck e realizzava di essere sola. Era troppo fragile per essere sola. Troppo friabile, troppo debole. L’ultima volta che aveva sentito quella sensazione. L’ultima volta che aveva sentito quella sensazione, aveva deciso che non l’avrebbe voluta provare mai più. Mai più. Era uscita, aveva respirato la brezza di NYC e aveva preso in mano la sua vita. Momento di pazza e concreta decisione. Quel filo d’erba calpestato era rinato. E c’erano stati i Martini, i Sex On the Beach, i Peschito, i Cosmopolitan, le labbra sconosciute, le mani estranee, gli sguardi allucinati. C’era stata l’attenzione, da ogni parte, i fari, che l’avevano illuminata. Come se valesse qualcosa, come se avesse trovato un posto nel mondo.
E tutti quelli che calpestava, che feriva, era solo l’ulteriore attenzione. Uno schiaffo era gradito, una sgridata cercata.
Una mano sulla spalla. La mano che c’era sempre stata. Che, dopotutto, c’era sempre stata. E lo sguardo discreto, indagatore. Anche quello c’era sempre stato. Più sensato, lontano, ma presente. E per quel microsecondo, si sentì un po’ meglio. Serena affondò il viso nella spalla di Blair. Senza parlare, rimasero così per un po’. Interrotti dallo squillo del telefono di Chuck.
“Ritiro ciò che ti ho detto prima”, Chuck si rivolse a Serena, più che per blasfemia, per farla sorridere. Quasi quasi riuscì nell’impresa.
In pratica Lily e Rufus tornavano in anticipo a causa di incongruenze di visione tra Rufus e un tizio e quindi la famigerata cena di famiglia ci sarebbe stata quella sera “Dacci solo il tempo di tornare! Avvisi Serena e Eric?”
Serena riprese colore. A Eric fu subito inviato un messaggio, lo stesso per Dan e Jenny. Blair era, naturalmente, invitata.
Era pronta a quella notizia. Non ne era infelice quanto Chuck, né entusiasta quanto Serena. Lei era Blair Waldorf, e doveva sentire le cose a modo suo.
Schioccò un occhiataccia divertita a Chuck e si tirò su dal letto, già nell’ottica di scegliere i vestiti adatti per la serata. “Ci sarò” disse un po’ a tutti e due i suoi amici. Sembravano entrambi scongiurarla con gli occhi di partecipare a quella serata. Baciò sulla testa Serena e passò la sua mano sulla vita di Chuck. B si allontanò velocemente dalla stanza, lasciando dietro di sé solo la scia di fresco profumo di pesco. Rimasti soli, Serena e Chuck parlarono a lungo. Era facile parlare con Chuck, se gli andavi a genio. Era un interlocutore brillante, un genio sarcastico. Dopo minuti e minuti di chiacchiere, Chuck: “Sicura di star bene?”
Incisivo, sicuro, dolce a modo suo. Serena annuì e sussurrò un grazie. Poi si alzò dal letto, perché aveva sentito la porta scattare. Era scattata in quel modo strano, particolare. Solo la Lily incazzata poteva farla scattare in quel modo. S e C si guardarono per un momento, scoppiarono a ridere e si rifugiarono nelle rispettive stanze, mentre le urla della signora Bass facevano vibrare le cornici dei preziosi quadri appesi alle pareti.


7. La guerra fredda
the family

“…è tutto squisito”, Blair cercava in tutti i modi di essere gentile. Aveva già fatto un commento sull’insalata mista, aveva elogiato in ogni modo il patè di fegato d’oca e non trovava sinceramente più aggettivi validi per definire quanto fosse elegante la tavola. Dopo “accurata”, “fine” e “raffinata” aveva avuto un piccolo vuoto, che Chuck, ben attento a non farsi vedere da nessuno, aveva colmato con “ricercata”, “chic” e “delicata”.
“grazie cara, tu sei davvero molto gentile” calcò forse eccessivamente sul “tu”
“se stai cercando un modo di darmi addosso, perlomeno prova a non usare i ragazzi come tramiti”, Rufus era stranamente acido.
“Ignorerò quest’ultimo commento proprio perché ci sono i ragazzi”, la voce fredda, impassibile, infuriata. Lily e Rufus sedevano ai due capi opposti della tavolata. Tra di loro Serena, seduta accanto alla madre, Blair e Chuck. Dall’altro lato Eric, Jenny e Dan. Dan sembrava nervoso, Jenny spaventata, Eric rassegnato. Per Chuck era la prima cena di famiglia di una vita intera, e comunque il fatto che l’attenzione non fosse concentrata su di lui gli faceva fin troppo piacere per pensare di fermare quella sottospecie di guerra fredda.
Da lì a poco sarebbe arrivata Vanessa. Dan aveva avuto la brillante idea di invitarla lì per il dopo-cena. Chuck non potè fare a meno di pensare che l’avrebbero fatta a pezzi. Serena l’aveva vista insieme a Nate e l’avrebbe di certo ignorata. Blair già la odiava di suo, ma da quando aveva scoperto che era andata a letto con lui aveva sviluppato verso di lei una smania quasi omicida. L’aveva sentita dire che le voleva cavare gli occhi.
Dal canto suo, non erano rimasti certo in ottimi rapporti. Erano andati a letto insieme un paio di volte. Avrebbero continuato, forse. Peccato che ogni volta che chiudeva gli occhi, Chuck vedeva il volto di Blair. Quando accarezzava quei ricci selvaggi, sognava di avere la seta tra le mani. Quando si risvegliava, aspettava ad aprire gli occhi, voleva che fosse lei. Non si era mai chiesto perché avessero a un certo punto smesso di vedersi. Sarà che una volta l’aveva chiamata “Blair” e non aveva più risposto alle sue chiamate. C’è forse la possibilità che si possa essere offesa.
Questo avrebbe di certo fatto ridere Blair, ma viste le attitudini omicide non gli andava certo di ricordarle certi passaggi non fondamentali.
Continuarono per un po’ a mangiare in silenzio. Jenny e Eric parlottavano tra loro sottovoce. Chuck sussurrava qualcosa all’orecchio di Blair. Rufus si agitava sulla sedia e ogni tanto lanciava qualche occhiata di sbieco a Lily, che mangiava la sua insalata in modo estremamente lento. Una foglia, due foglie, ma non è verde. Di nuovo la prima foglia.
Serena si annoiava e guardava Dan in modo supplichevole, affinché smuovesse la situazione. Le facce allucinate a occhi spalancati di Dan le avevano sempre fatto uscire quelle sue risate fresche, quelle da bambina di quattro anni che Dan amava adorava tanto. “Si può sapere che cavolo è successo a Washington?” sbottò alla fine del tira e molla facciale con Serena.
Niente era successo a Washington. Niente di così importante dal valere la pena di essere raccontato. Niente comunque, che a loro dovesse interessare. Lily schietta.
A quelle parole però Rufus si alterò ancora di più. “Perché non glielo spieghi? Hai detto tu stessa che non c’è niente di male, mi sembra”
“Perché non c’è niente di male, è una cosa puramente innocente e tu sei paranoico!”
“Allora forse vuol dire che sono i miei occhi ad essere diventati paranoici, sarà che prima li tenevo ostinatamente chiusi”
“Sei ridicolo, te l’ha mai detto nessuno?”
“Si! Tu! Una decina di volte solo nell’ultima ora e ti ribadisco che so quello che ho visto!” urlavano.
La situazione stava precipitando. Era chiaro che Lily avesse visto o fatto qualcosa che non doveva in quel di Washington. I ragazzi erano incollati alla sedia, incapaci di reagire. Jenny scrutava da una parte e dall’altra come stesse seguendo una partita di tennis. Eric scuoteva leggermente la testa. Chuck continuava incurante a parlare con Blair. Serena era talmente amareggiata da quella situazione che stava per prendere la parola. O prendere a schiaffi entrambi, avrebbe deciso una volta in piedi.
Si intromise il campanello, dannazione. Vanessa e Nate avrebbero solo complicato la situazione, non era certo il momento di far entrare altre persone in casa. Erano come le bombe a idrogeno per Russia e Usa, pronti a scoppiare.
Dopo il secondo di pausa creato dal campanello, Eric si decise ad alzarsi per andare alla porta. “Dev’essere Vanessa”, sussurrò. Né Lily, né Rufus lo stavano in realtà ascoltando. Si alzarono, anzi, simultaneamente, volti in direzione dello studio, la cui porta sbattè dietro di loro con un pesante botto.
Eric giunse alla porta e senza pensare la spalancò.
Una figura alta e slanciata occupava tutta la sua visuale. Aveva capelli color paglia piuttosto lunghi, fermati da una coda. Un bell’uomo, di età non identificabile. Moderno, sportivo sicuramente, aveva uno sguardo profondo donatogli dall’azzurro mare in cui si perdevano le sue pupille.
A Dan e a Jenny, accorsi alla porta, quell’uomo con la giacca nera non diceva niente di niente. Dietro di lui si materializzarono all’improvviso Nate e Vanessa. Mentre quest’ultima si lanciava a salutare Jenny, Nate rimase per un attimo paralizzato nel pianerottolo. Eric pietrificato, continuava a fissare sbalordito l’uomo vestito di nero. Nate anticipò qualsiasi cosa stesse per dire o fare Eric.
“Che diavolo ci fa qui, mister Van Der Woodsen?”
 
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Gloredhel
Posted on 28/8/2009, 10:39




noooooooooo il signor van der woodsen!!!!!!!!! OMG!!
Chissà cosa succederà ora!
 
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marci#
Posted on 29/8/2009, 00:03




Ecco il nuovo, anzi i nuovi XD
<3


8. Legno bagnato e viottoli pieni di sogni
Serena ; Dan ; Vanessa

Chuck si alzò dal tavolo con la solita flemma eleganza. Aiutò diligentemente Blair ad alzarsi e la accompagnò verso la sua stanza con la mano sul fianco. Blair era preoccupata. Lanciò uno sguardo a Serena, ancora paralizzata sul candido divano del salotto. “Serena!”
L’unica parte che Serena mosse a quel grido furono le pupille. La roteò in fretta, con la sguardo spento e triste.
“Se hai bisogno di qualsiasi cosa, qualsiasi, sono di là” la sua migliore amica, con una nota di pena nella voce.
Serena tenne le labbra ostinatamente chiuse, ma le lanciò un segno di assenso. Chuck tornò indietro un attimo e disse due parole a Nate. Egli le comunicò a Dan, Vanessa e Jenny, che se ne stavano in piedi come ebeti, la centro del salotto. Keith Van Der Woodsen si era unito a Lil e Rufus nello studio. Le urla erano cessate già da un po’. L’uomo era entrato ostentando una certa sicurezza. Aveva salutato tutti con un certo slancio. Aveva guardato Eric con uno sguardo soddisfatto, voleva salutarlo, l’aveva avvicinato, ma Eric era scappato via. Serena non aveva nemmeno voluto che lui la toccasse. Non gli avrebbe nemmeno voluto dire dov’era sua madre. Quando aveva deciso di trovare suo padre non immaginava cosa avrebbe trovato. Che uomo avrebbe trovato. Se ne stava lì e lo odiava, lo odiava con tutte le sue forze, lo odiava come non aveva mai odiato nessuno prima. Non ricordava di aver mai odiato nessuno. Non in quella maniera. Si era arrabbiata spesso, urla, grida, oggetti sbattuti giocavano al bersaglio con i suoi ricordi. Ma l’odio mai. Guardava la porta dello studio chiuso e il suo labbro cominciò a tremolare, pallido. Dan le si avvicinò e le appoggiò le mani sulle braccia, quasi a volerla abbracciare. Non lo fece. “Andiamo a fare un giro, vieni con noi? Non ti fa bene rimanere qui”
“No… io… mio fratello. Non lo posso lasciare da solo” scappò per le scale, per non scoppiare in lacrime davanti a lui. Non davanti a Dan. Le aveva detto che non erano amici. Be’, se non siamo amici non vedo perché devi per forza continuare a comportarti da amico, accidenti. Stupido Dan. Se l’avesse abbracciata l’avrebbe lasciato fare. Avrebbe pianto come una stupida sulla sua spalla e si sarebbe sentita meglio. Rivedere il padre dopo tutto quel tempo era una shock. Per lei, per Eric, per le loro vite. Era stupido farne una così grande tragedia, ma il groppo in gola non voleva andarsene. Non voleva disturbare Blair, non voleva disturbare Eric. Non sapeva quello che stava provando, non aveva la più pallida idea di come si potesse sentire. La porta di sotto si chiuse. Se ne erano andati. Serena si lasciò cadere a sedere sul pavimento, contro la porta della sua stanza buia. Sentiva il legno sulla sua schiena.
La moquette si macchiò di lacrime.

Vanessa e Dan camminavano a ritmo sostenuto. Qualche passo più indietro, Jenny faceva scorrere più velocemente possibile le dita sulla tastiera del suo cellulare. Doveva avvertire il padre che se ne tornavano al loft e in più voleva contattare Eric per sapere come stava. Pur essendo stati letti, nessuno dei due messaggi ebbe una risposta.
“Solo in questa città possono accadere certe cose, mi vuoi spiegare chi cavolo era quella sottospecie di Fonzie?” disse Vanessa tirandogli un amichevole pugno al braccio.
“Dimmi che non stai parlando del Fonzie di Happy days, Abrams. Quello aveva i capelli corti e neri, questo biondi e lunghi” rispose Dan. Nel farlo si mise una mano sulla testa. A Vanessa ricordò una scimmia.
“Genio, parlavo del suo atteggiamento non dei suoi capelli, ci mancava solo che tirasse su il pollice e facesse partire il jubox!... e poi comunque la giacca era simile” sulla difensiva, ma decisamente divertita per il ricordo della scimmia.
“Ma che ne so, è il padre di Serena, ok, magari mio padre l’ha visto insieme a Lily e ha pensato chissà che, ma c’era bisogno di tutta quella scenata? Gente che piange, gente che scappa, porte che sbattono, ma che palle!” Vanessa annuì a quelle parole e stava per proporre di andarsi a prendere qualcosa di decente da mangiare quando suonò la vocettina acuta di Jenny da dietro.
“Hai tempo per ricevere il premio?” i ragazzi, ovviamente, non capirono, ma si aspettavano la battuta, che infatti seguì.
“Per mister sensibilità! Scemo, ma ci pensi se tornasse mamma adesso?”
“Be’, una volta è tornata, ma non abbiamo fatto tutto questo casino!”
Jenny protestò, ma Vanessa aveva già proposto il gelato. E poi l’aria era troppo frizzante per essere arrabbiati. Lily e Rufus avrebbero fatto pace. La facevano sempre. Era relativamente presto e Manhattan sembrava vivere di vita propria. Le insegne, le case, i rumori della metro, tutto partecipava alla vita delle persone che vi camminavano. Si poteva dire che la città fosse più viva di giorno che di notte. Lo scrittore, la regista e la stilista si buttarono in una via conosciuta. Confondendosi tra la folla di anime che ogni sera, con la stessa ostentazione, riversavano i loro sogni in quei viottoli di cemento.


9. Sguardo giusto ; Parole giuste
Nate ; Serena ; Chuck ; Blair

Nate si passò una mano nei capelli come amava fare sempre. Era un gesto che adorava, anche se non ne capiva bene il motivo. La gente sosteneva spesso che Nate fosse un ragazzo confuso. Avrebbe ucciso i sostenitori di quella teoria uno per uno. Non era confuso. Era che è tutto troppo difficile.
Nate odiava mentire. Soprattutto a Vanessa. Vanessa l’aveva perdonato, sempre. Ogni volta che lui l’aveva mollata, senza motivo, per fare qualcosa di più importante. Tutte le volte che aveva messo qualcun altro prima di lei. Vanessa c’era stata sempre. Era andata a letto con Chuck per farlo soffrire, e pensando a quanto Vanessa detesti Chuck… be’ si può chiamare davvero prova d’amore. Anche se pensandoci, in quel modo aveva ferito molto più Blair che lui.
Per questo odiava averle detto che doveva parlare con Chuck, di avviarsi che li avrebbe raggiunti. Non voleva parlare con Chuck. Voleva parlare con Serena.
Nate si incamminò verso la stanza di Chuck. Nel corridoio impeccabile stava una libreria di arte moderna, probabilmente acquistata e scelta da Lily in persona. Dentro c’era una foto di Serena da bambina. L’aveva notata spesso e spesso si era chiesto perché la foto fosse tagliata sul bordo. Restavano una donna bionda, impeccabile nella sua gonna beige e la coda di cavallo e una bimba bionda anch’essa, con un sorriso inconfondibile. Nate la guardò per un attimo, poi la prese e se la mise in tasca. Entrò nella camera di Chuck senza nemmeno bussare. Si aspettava di farsi almeno due risate, dopo tutta quella tensione, ma la scena che vide non fu quella che sia spettava. Chuck e Blair erano sdraiati sul letto di lui, abbracciati. Blair dormiva sulla spalla di Chuck, mentre lui con l’altra reggeva un libro con la copertina logora. La finestra era aperta, e una dolce brezza accarezzava le lenzuola. Chuck guardò Nate, che si richiuse piano la porta alle spalle e sussurrò “era esausta”.
Nate piegò la testa da un lato e sorrise a quella singolare situazione.
Chuck svegliò Blair con un bacio sull’orecchio e uno sul collo. Le mormorò qualcosa che Nate non capì e la ragazza si tirò su dal letto.

Nate bussò alla porta. Knoc. Knoc.
Nessuna risposta. Knoc. Knoc.
Il ragazzo aprì comunque la porta.
Serena aveva ancora il bel vestito di Prada che aveva scelto per quella serata. La gonna lunga le scivolava ancora addosso ma la camicetta bianca si era ormai irrimediabilmente stropicciata. Aveva pianto. Tanto. Stesa sul letto, aveva tentato di dormire, ma lo stomaco le faceva male. Si tirò a sedere appena sentì la porta aprirsi. Davanti a lei il No-Judging Breakfast Club al completo.
Stavano sulla porta a guardarla. Blair se la chiuse dietro di sé. Non vi era pena sui loro volti, ma comprensione. Quella di cui aveva bisogno, quella che non aveva visto brillare negli occhi di Dan, prima. Blair le si avvicinò e la abbracciò. La abbracciò stretta, come sapeva fare solo lei. La consolava con quel tono dolce che Blair sfoderava solo per quelli a cui teneva veramente. Serena singhiozzava ancora. Non per lo stesso motivo di prima, ma singhiozzava ancora, sempre più forte. Non era un singhiozzo sguaiato, era misurato. Blair si staccò e veloce le promise che le andava a prendere dell’acqua di sotto. Nate prese il suo posto. Si sedette vicino a Serena e se la cinse tra le braccia. I suoi occhi bagnati trovarono la sua spalla. Era forte, sicuro. Si sentiva un fiore del deserto in balia di una tempesta, in pericolo costante, sull’orlo della morte, ma finalmente saziato della sua sete. Anche Chuck le si avvicinò. Prima di sedersi sul letto si chinò su di lei e le baciò la testa. Una mano sull’altra spalla le faceva coraggio. “Dai, ti regalo la coperta” strappò alla ragazza un sorriso.
Ora capiva finalmente che ci trovasse Blair nei baci di Chuck. Non erano i baci a cui era abituata. L’aveva sentito perfino su quell’affettuoso bacio sui capelli.
La fecero parlare, la fecero sfogare. Tutto quello che aveva provato alla vista di quell’uomo, tutto quello che avevano passato lei e suo fratello da quando quell’uomo aveva deciso di abbandonarli le si era schiantato addosso come un treno merci in corsa.
L’orologio digitale segnava le tre e cinquantasette quando Chuck prese in braccio Blair e la portò a dormire nella sua stanza. Facendo di tutto per non svegliarla, la posò sul suo letto. Mentre la copriva, Blair si svegliò di soprassalto.
“Non andare via” biascicò.
“E dove dovrei andare, scusa? È camera mia, anzi sappi che ho già avvertito Dorota che non torni questa notte” le sorrise.
Blair sospirò e non lo guardò negli occhi. “L’ultima volta che mi hai coperto in questo modo poi mi hai mollato con un biglietto e ti sei trasferito in un altro continente” la voce di Blair sembrava un sussurro angosciato.
“Era un biglietto molto dolce, se ben ricordo”, cercava di buttarla sul ridere, ma Blair non si mosse. Ferma, immobile, ricordante.
“Io… Blair… Blair guardami” le fece scivolare la mano sotto il mento, costringendola a fargli vedere i suoi immensi occhi bruni. Le baciò la fronte.
“Quel giorno. Quel giorno era complicato. Non sapevo quello che volevo, non sapevo che cosa fare. Ora lo so. Io… ti amo. Avrei dovuto dirtelo quella sera, ero venuto da te per scusarmi, mi aspettavo che dopo quello che ti avevo fatto mi avresti cacciato, o avresti urlato, ma tu non l’hai fatto. Mi hai dato prova che a quello che avevi detto ci credevi davvero, e mi hai abbracciato, e fatto sentire meglio, e allora ho capito che non ti meritavi lo schifo che ero io. Per quello me ne sono andato. Ma ora… ora… non vado da nessuna parte” la baciò sulle labbra. Soffice, il labbro, la lingua. Più sveglia che mai, lei gli slacciò i bottoni della camicia.
Si può dire che Chuck Bass non sia un chiacchierone, ma, di certo, quando parla, sa dove andare a colpire.
 
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Gloredhel
Posted on 29/8/2009, 10:43




si fa interessante!!! Il NJBC ^^
 
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marci#
Posted on 29/8/2009, 21:39




Continuaaaaa<3

10. Quel ciuffo di capelli particolarmente biondo
Nate ; Jenny

Serena spalancò le pupille, accecata dalla luce che entrava dalla finestra socchiusa. Con una mano intorpidita si stropicciò gli occhi. Credeva di non aver visto bene. Accanto a lei, la puttana dagli occhi chiari. Il ragazzo gentile che la abbracciava quando ne aveva bisogno. Dormiva come un bambino. L’orologio digitale ora segnava le due del pomeriggio. Serena gli scompigliò i capelli, come faceva da una vita intera. Le mancava Nate.
Gli occhi si dischiusero a guardarla, un po’ confusi, ma sorridenti.
“Grazie” mormorò Serena stringendogli la mano.
I due ragazzi scesero a colazione. Blair si stava facendo un the, mentre Chuck discuteva di lavoro al telefono. “Hey S, tutto bene?” la abbracciò veloce. “Ti stavo preparando la colazione!” tono entusiasta, forse troppo marcatamente entusiasta. Dalle scale scese anche Eric, stirandosi. “Che cavolo di casino avete fatto ieri notte?” falsamente seccato, sinceramente divertito. Serena lo abbracciò “Stai bene?”
“Dov’è la mamma?” rispose lui. Il punto della questione. Blair e Chuck si scambiarono uno sguardo che fece capire subito a Serena il perché di quel tanto entusiasmo di Blair. Blair si girò a controllare il pane tostato, da cui stava iniziando a provenire acre odore di bruciato. Chuck buttò il telefono sul vicino divano e prese la parola. “Il suo armadio è vuoto. La sua borsa è sparita… temo che sia partita”
Nello stesso momento, il telefono di Chuck riprese a suonare. Una fetta di pane bruciata volò letteralmente via dalla mani di Blair e cadde in testa a Eric. “Ahy” protestò debolmente Eric. “Oops” fece Blair stiracchiando un mezzo sorriso.
“Si?” silenzio. Tutti fissavano Chuck, fragilmente pendenti dalle risposte che non arrivavano.
“Va tutto bene, è andata via anche lei” parlava di Lily, di sicuro. Una vocetta femminile urlò qualcosa dall’altra parte.
“Così mi spacchi i timpani piccoletta… dai venite qui”
Il telefono piombò di nuovo sul divano. Tutti continuavano a fissare Chuck. Non amava avere tutti quegli occhi puntati addosso, per la verità. Scosse la testa e si limitò a dire “Anche Rufus è sparito, gli altri stanno venendo qui”
Il tic tac dell’orologio parve avere un fremito e bloccarsi a quelle parole. Blair spalancò gli occhioni da cerbiatta. Si voltò subito a guardare Serena, ammutolita. “Sicuramente saranno da qualche parte a discutere” debolmente Nate cercava di dire qualcosa che potesse fare stare meglio gli altri. Fu la prima cosa idiota che gli passò per la testa. Sapeva perfettamente che non avrebbe fatto sentire meglio nessuno, ma non poteva tollerare di vedere Serena in quello stato.
I biondi capelli le scendevano disordinati fin sotto le spalle. Aveva le braccia incrociate e avrebbe potuto giurare che tremasse. Guardava il pavimento con gli occhi spenti. Tuttavia, Nate non provava pena per lei. Nessuna pena. Sentiva anzi, all’interno un desiderio. Un tremore anch’esso, all’interno dello stomaco. Chuck gli aveva fatto una battuta, una volta, sulle farfalle nello stomaco. Nate non l’aveva capita, ma in quel momento gli venne davanti agli occhi quella scena al campetto da basket, come un flash. Provava l’irreprensibile desiderio di vedere splendere il sorriso che tanto amava. Il sorriso di quella ragazza spensierata che aveva tormentato le brezze di tante sue notti.
Per un momento Nate non capì più che cosa stesse succedendo. Qualcuno si sedette, Blair abbracciò Serena, forse. Quando riprese consapevolezza del mondo, Eric era sparito, come pure Chuck. Restavano Serena e Blair a parlare fitto fitto sul divano. Doveva sembrare un’idiota lì nel centro della stanza, con la faccia da ebete a fissare quel ciuffo di capelli particolarmente biondo che Serena continuava ad arrotolarsi attorno alla mano.
Continuavano a parlare… più voci… forse era stata accesa la tv.
Quando il campanello suonò, andò meccanicamente ad aprire la porta. Una ragazzina magra e pallida, con gli occhi pieni di lacrime, lo stava guardando in modo supplichevole. Nate non riuscì a resisterle. Era addirittura peggio dei famigerati occhioni da cerbiatta che sfoderava Blair quando voleva andare a una di quelle noiosissime cene nell’alta società. Nate la abbracciò forte. Lei si aggrappò con le braccia pelle e ossa, lasciandosi andare, poggiando tutto il suo corpo contro il petto di lui, la faccia affondata nel suo petto. Nate la tenne stretta a sé. Dan li squadrò, sbuffando, per poi entrare in casa. Dalle voci che sentiva, doveva essersi seduto con Serena e Blair.
Stettero un po’ lì, nell’ingresso. Semplicemente abbracciati. Lontano dagli altri, lontano da tutti. Dopo quello che sembrò un anno intero per entrambi, Nate la staccò da sé e le baciò la fronte. Lei sorrise debolmente di rimando e si diressero insieme al divano.
Blair e Dan stavano litigando, come al solito. Erano un po’ troppo enfatici, ma lo facevano solo per far ridere Serena, e si vedeva. Dan faceva battute su Dorota, e Blair difendeva la sua nanny adorata.
“Il giorno in cui partirà per diventare la regina della Polonia insieme a Vanya, vedremo chi la aiuterà ad abbinare le scarpe ai cerchietti!” sussurrò Dan nell’orecchio a Serena.
“Ti avviso di due cose, Humprey: uno, ci sento e due, giusto per ampliare la tua pur bassa cultura di cittadino di Brooklyn, Dorota non è regina, ma contessa di Polonia!”, stizzita. La regina era lei, dopo tutto.
“Ah, quindi non neghi che sia Dorota ad abbinarti i vestiti” sempre più forte, Dan il coraggioso. Per questo si meritò una cuscinata in testa, che sfiorò appena Serena, seduta proprio in mezzo a loro. Il male che Dan si fece, valse decisamente il primo vero sorriso che vide sulla faccia di S quella mattina.


11. I desideri
Jenny ; Chuck ; Serena

Jenny Humprey avrebbe voluto prendergli la mano. Avrebbe voluto stringerla. Avrebbe voluto che suo padre fosse lì a dirle di toglierselo dalla testa. Jenny Humprey voleva un sacco di cose. Jenny Humprey voleva che quell’armadio che aveva trovato vuoto non fosse quello di suo padre. Jenny Humprey voleva non essere emotiva fino a quel punto, voleva poter credere che tutto si sarebbe sistemato. Jenny Humprey desiderava ardentemente non aver chiamato proprio Chuck Bass, non proprio il Chuck Bass davanti al quale arrossiva sempre. Jenny Humprey desiderava poter essere già al college, come suo fratello e i suoi amici, desiderava avere qualcosa di più che solo un fratello e un padre nella vita, dato che il primo aveva una vita (?? X°D) e il secondo era sparito nel nulla. Jenny Humprey voleva che Nate Archibald la abbracciasse come l’aveva abbracciata quella mattina tutti i giorni. Voleva che Nate Archibald guardasse lei come guardava Serena Van Der Woodsen. Ma Jenny Humprey, sopra a tutte le cose, voleva quello che vogliono tutte le sedicenni di questa terra: essere amate.
Fu la stupida illusione, lo stupido ricordo delle labbra coperte di lucidalabbra nuovo che si posavano decise su quelle di lui. Fu la confusione di quel momento, fu il fatto che lui rideva con la sua risata migliore, scoprendo i denti bianchi e perfetti. Fu perché in quel momento ridevano tutti. Fu perché decise che non le importava che lui continuasse a guardare Serena.
Appoggiò la testa sulla sua spalla.
Gli occhi chiusi, in attesa.
Una cosa era abbracciarla dove nessuno li poteva vedere, un’altra era farlo davanti a tutti. Il principe azzurrò non tradì le aspettative.
Fece scorrere il braccio dietro di lei e la cinse a sé, vicina. Il cuore di Jenny Humprey batteva incontrollato. Era da tanto tempo, ormai che non pensava a Nate. Era da tanto tempo che i pensieri non si aggiravano verso quell’area del suo cervello, che non bussavano forte alla porta. Ma ora era sicura, con tutta se stessa (e ogni battuto sembrava darle ragione) che avrebbero distrutto la porta a forza di bussare, era sicura che l’avrebbero fatta sanguinare. Ancora.

Chuck Bass entrò dalla porta con una spinta che non lo contraddistingueva. Il cellulare sempre in mano. Tutti smisero di ridere, paralizzati a guardarlo. Chuck rappresentava quella categoria di persone che sanno cosa fare. Quelli che prendono in mano la situazione. Quelli che se gli vai a raccontare che hai un problema e per lui rappresenti qualcosa, è capace di smuovere mezza NYC per risolverlo. Era quello che per fare in modo che Blair vedesse il concerto dei Cobra Starship, che aveva registrato il tutto esaurito da settimane, aveva corrotto più di mezzo staff organizzativo. Alla fine Blair aveva avuto i posti milgliori. Era per questo che quando Serena era finita in carcere, o quando Blair e gli altri volevano smascherare Gossip Girl, le ragazze erano partite col grido “Chiama Chuck!”. Notevole, per uno con quella certa reputazione.
Sta di fatto, che i ragazzi non avevano nemmeno pensato ad avvisare la polizia, o per lo meno, Dan Humprey ci aveva pensato, ma era stato soffocato dal pensiero comune “lasciamo fare a Chuck”, ma sarebbe più corretto dire “lasciamo fare agli investigatori privati di Chuck”.
Chuck Bass entrò nella stanza con un passo incerto, che non lo contraddistingueva. Andò a sedersi vicino a Blair. Non le prese la mano, ma si scambiarono uno sguardo strano. “Ho parlato con Theodore” cominciò.
“Non sarebbe meglio parlare con la polizia?...” cominciò a stento Dan, ma Chuck Bass non era uno di quelli che amavano essere interrotti. Non da Dan Humprey, comunque. Ricominciò a parlare, rivolto più che altro a Blair e Serena. Jenny dormiva sulla spalla di Nate, emettendo a distanza regolare tenui sbuffi. “Non c’è loro traccia. Non hanno lasciato New York secondo i tabulati di aeroplani, treni e autostrade. Escludo che siano andati via in barca a vela”
“Jet?” propose Nate, piano, per non svegliare Jenny.
“Ogni pista è stata controllata. Nessuno che gli assomigliasse è salito su un mezzo di locomozione questa notte. E l’ipotesi che siano andati via a piedi è assurda quasi quanto quella della barca a vela” abbozzando un mezzo sorriso, anche se da ridere non c’era proprio niente.
Serena prese finalmente la parola. Tutti aspettavano di sentirle dire qualcosa sulla faccenda, di cui fino ad allora non aveva detto nulla. Si era limitata a restare lì, a guardare il pavimento lucido. “Chuck… mio… mio padre? Potrebbe c’entrare qualcosa, dopo tutto è stato l’ultimo con cui hanno parlato prima di sparire” disse quella parola “sparire” con una nota tremula e incredula nella voce, la sua espressione lasciava trasparire una certa quantità di rancore, quel rancore che nasconde il sentimento dell’odio, qualcosa che non si vedeva spesso dipinto nel suo volto di porcellana. Faceva addirittura paura, perché Serena, per quanto potesse essere stata pazza, ubriaca, arrabbiata, non aveva mai odiato nessuno. Nemmeno Dan, mai. “Vorrei non averlo mai cercato… vorrei… vorrei che fosse sparito davvero tanti anni fa” fece una pausa. Nessuno osava interromperla. Nessuno sapeva che cosa dire. Chuck aveva una vaga idea di come si potesse sentire e decide di regalarle qualche altro attimo di invettiva. A lui non era stato mai concesso. “Vorrei che non fosse mio padre” aggiunse.
 
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Gloredhel
Posted on 29/8/2009, 21:58




ahhhh jenny giù le zampacce da nate ò_ò
 
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marci#
Posted on 29/8/2009, 22:14




Buhahah, tanto Nate non guarderà mai nessuna come guarda Serena, quindi farò in modo che Jenny si metta il cuore in pace prima o poi XD
 
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65 replies since 25/8/2009, 22:28   859 views
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